Politiche fiscali: cinquant’anni di errori che hanno distrutto il ceto medio

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Politiche fiscali

In Italia si parla spesso di crisi economica, ma troppo raramente si ha il coraggio di analizzarne le cause profonde. La verità è che non viviamo più un’emergenza passeggera, ma una crisi strutturale che affligge da decenni milioni di cittadini, soprattutto appartenenti al ceto medio. Al centro di questo tracollo sociale c’è una lunga serie di politiche fiscali sbagliate, diseguali e incapaci di garantire equità.

Dal punto di vista di chi studia e lavora da anni nel settore del welfare, è impossibile non notare come le scelte in materia di fisco e redistribuzione abbiano sistematicamente favorito i grandi patrimoni e penalizzato lavoratori, artigiani, professionisti e piccole imprese. A partire dagli anni ’70, le politiche fiscali italiane hanno spostato il peso della tassazione sui redditi da lavoro, abbandonando progressivamente il principio costituzionale della progressività tributaria.

Politiche fiscali sbilanciate e condoni ricorrenti

Negli ultimi cinquant’anni, abbiamo assistito a una lunga catena di condoni, sanatorie, riforme parziali e misure temporanee, che hanno solo aumentato il divario tra chi ha molto e chi ha sempre meno. Invece di colpire i grandi evasori, il sistema fiscale ha finito per perseguitare chi già contribuisce onestamente. Le politiche fiscali italiane hanno perso il loro ruolo di strumento di giustizia sociale, diventando invece fattore di oppressione.

Il dramma di questa deriva è stato rappresentato tragicamente dal suicidio di un commercialista, che si è tolto la vita davanti all’Agenzia delle Entrate di Firenze. Un gesto estremo, il simbolo umano di un sistema fiscale che non solo non aiuta, ma schiaccia psicologicamente e socialmente chi si trova in difficoltà.

La crisi del ceto medio e la solitudine fiscale

Quel suicidio non è un caso isolato. È solo uno dei segnali più drammatici di un disagio sociale ormai generalizzato. Troppi cittadini si sentono soli, invisibili, lasciati senza tutele in un contesto dove lo Stato pretende molto ma restituisce poco. Le politiche fiscali hanno smesso di sostenere il benessere collettivo, preferendo una logica punitiva e disumanizzante.

La responsabilità è politica, e lo è da decenni. Le classi dirigenti non hanno mai avuto il coraggio di riformare davvero il fisco, di combattere l’evasione sistemica o di creare un vero sistema redistributivo. Il risultato è un welfare indebolito, un senso di ingiustizia crescente e una società dove chi lavora onestamente si sente tradito.

Serve una riforma fiscale strutturale

Non bastano più annunci o misure-tampone. Oggi serve una riforma fiscale coraggiosa, strutturale e giusta, che rimetta al centro la dignità del lavoro, il principio di equità e il ruolo dello Stato come garante dei diritti di tutti, non solo di pochi. Il ceto medio e medio-basso non può più essere il capro espiatorio: deve tornare a essere il motore dello sviluppo.

Va ricostruito un nuovo patto sociale, fondato su trasparenza, equità e inclusione. Un patto in cui le politiche fiscali non siano più strumenti di oppressione, ma leve di riscatto, protezione e futuro.

Perché un Paese che abbandona chi lavora, chi produce e chi paga le tasse non è solo un Paese in crisi: è un Paese che sta perdendo la sua anima.

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