Taglio dei parlamentari, Frate (IV): un errore senza le riforme

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Abbiamo pubblicato la lettera di Flora Frate, Deputata nella XVIII legislatura che ha parlato del taglio dei parlamentari.

di Flora Frate

Già deputata

Caro direttore,

mi hanno colpito gli articoli della Fondazione Einaudi, e prima ancora di Simone Baldelli, sul taglio dei parlamentari. È stato sicuramente un errore ridurne tout court il numero, per giunta senza una riforma strutturale degli organi parlamentari e di Governo, con il risultato di un malfunzionamento complessivo della macchina legislativa.

D’altronde nel 2019 non c’erano margini per una discussione sana e democratica all’interno di quel movimento 5 stelle. Le espulsioni erano all’ordine del giorno, così venivano zittiti chi, come me, cercava di porre temi e questioni puramente politiche. Per di più “l’uno vale uno” imponeva automaticamente che solo una stretta cerchia di persone possedeva il diritto di parola. Un po’ come la demos ateniese, il movimento 5 stelle stabiliva in base a criteri del tutto discrezionali e manichei chi fosse idoneo a decidere la linea politica.

Questo poneva, e pone ancora, inevitabilmente il problema della democrazia interna ai partiti, che a ben guardarsi dai valori costituzionali, ripropongono una visione pre-moderna, come se il suffragio universale fosse soltanto un orpello della Costituzione. È in effetti la crisi della democrazia rappresentativa con l’illusione che quella diretta fosse l’unica in grado di garantire inclusione e uguaglianza.

Tutti abbiamo dimenticato quando il conte bis era appesa al voto della piattaforma Rousseau, quasi come se i parlamentari fossero dipendenti di un algoritmo e non i rappresentanti di un’intera Nazione. O quando Beppe Grillo annunciava in pompa magna il futuro Presidente della Repubblica direttamente dai servizi segreti.

Il “benvenuta signora Italia” poteva significare l’arrivederci della democrazia senza l’intervento coraggioso di alcune forze politiche. Insomma, spesso si sente parlare del pericolo del ritorno del fascismo per mano di fratelli di Italia e del Governo Meloni, ma nessuno dell’opposizione, salvando la pace di pochi, prende le distanze da quel populismo speculare al melonismo, che mette in serio pericolo la nostra democrazia.  

Il taglio dei parlamentari altro non è che il risultato di tutto questo, dell’egemonia del pensiero populista e del mancato coraggio della politica di fare rappresentanza.  Una politica resa ostaggio dalla demagogia che non è riuscita a ribellarsi allo “scempio democratico”, per timore di essere impopolare. E nessuno dei parlamentari, tranne qualche gruppo sparuto, ha saputo far valere le proprie prerogative, preoccupati più di compiacere il leader che pensare al futuro del Paese. Oggi stupisce vedere che la ex dirigenza grillina, quella che sembrava più granitica, si è pentita del taglio dei parlamentari. Col senno di poi tutto è facile.

Diciamolo alla Regione Molise che oggi elegge solo due deputati in tutto il territorio. Al netto cosa rimane? Zero risparmi e meno democrazia. I cittadini oggi non si sentono più rappresentati, sentendosi espulsi da quel patto sociale che imporrebbe alla politica di rappresentare la Nazione intera, come dettato dall’articolo 67 della Costituzione. La classe politica, indipendentemente dalla geografia ideologica, dovrebbe discutere di questi temi. E quindi, oltre alla riduzione del numero dei parlamentari, si dovrebbe iniziare a discutere anche della selezione dei rappresentanti, a cominciare dalla reintroduzione del voto di preferenza per le due Camere.

[sottolineature a cura del Direttore Responsabile]

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