Ponte sullo stretto, opera mastodontica da approfondire: un banco di prova importante

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CentroSud24 dedica al Ponte sullo stretto uno speciale per approfondire i pro ed i contro di questa mastodontica opera pubblica che rappresenta, per l’Italia, un banco di prova importante. Ecco la prima parte.

CentroSud24 è nato nell’ottica di approfondire la conoscenza e aiutare lo sviluppo del nostro centro sud, anche in correlazione agli strumenti pubblici e privati che mirano agli stessi fini e quale strumento di comunicazione posto a disposizione di questi, e così innanzitutto dell’interparlamentare-intergruppo Sud, Aree fragili e isole minori, nato per gli stessi fini. Esso ha particolare attenzione alle eccellenze ed alle opportunità nascoste nel territorio dal quale prende nome, in particolare le PMI che molti non conoscono ed invece sono di altissima qualità in molti settori  e caratterizzate dalla dedizione al fare, da una ottima capacità di reazione alle difficoltà nuove. Nella stessa ottica CentroSud24 vuole esaminare, e comunicare, i più importanti progetti che collaborino per lo sviluppo del territorio.

Ponte sullo stretto: l’attuale transito dei mezzi tra Sicilia e Calabria

Il progetto riguardante il Sud di maggiore rilievo culturale e tecnico, impatto economico-sociale ed evidenza, e di maggior costo, di circa 14 miliardi, è oggi il progetto del Ponte sullo stretto di Messina, per il collegamento stradale e ferroviario tra le città di Messina e Villa San Giovanni, che unirà la Sicilia alla Calabria e al continente europeo (mentre pare che il raddoppio ad Alta Velocità della linea Salerno e Reggio Calabria ne costerà 13, per l’intera Palermo-Catania-Messina sono stanziati 9,3 miliardi di Euro, di cui 1,44 dai fondi PNRR, e per la Napoli-Bari sono previsti 5,4miliardi).

Esso dovrebbe sostituire ampia parte dei traghetti ad oggi adottati per riconnettere fisicamente la più grande regione italiana, la Sicilia (25.832,4 kmq, pari all’8,6% del totale nazionale) e ricollegare i quasi 5 milioni di abitanti di questi al resto dell’Italia, dell’Europa: come il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto Mario Mega recentemente, nel marzo 2022, ha relazionato al Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, tra i Porti di Messina, Villa San Giovanni e Reggio Calabria erano transitati nell’anno oltre 10.000.000 di passeggeri, sia a piedi che a bordo di circa 1.800.000 autovetture e 400.000 mezzi pesanti, ai quali si erano aggiunti più di 1.500.000 di passeggeri e 800.000 tra mezzi pesanti ed autovetture sulle tratte Tremestieri-Villa San Giovanni-Reggio Calabria. Per tutti questi trasferimenti erano state effettuate circa 100.000 corse tra traghetti, navi ferroviarie e mezzi veloci/aliscafi con una media giornaliera di una partenza di una nave ogni 5 minuti fra i vari porti. Mediamente, quindi, al netto del traffico merci, sullo Stretto di Messina ogni giorno sarebbero transitati non meno di 20.000 passeggeri di cui circa un quarto pendolari che si spostano quotidianamente soprattutto per lavoro tra le provincie di Messina e Reggio Calabria. Nei periodi estivi, in corrispondenza ai massicci spostamenti dei turisti verso la Sicilia, i flussi di passeggeri e mezzi possono anche raddoppiare.

Un transito enorme, che comporta un gigantesco traffico di navi, fortissimamente inquinante e potenzialmente pericoloso, non mantenibile in caso di intemperie particolarmente gravi, certo non aumentabile con il sistema e i porti attuali, al contempo insufficiente rispetto all’esigenza di un forte aumento industriale commerciale e dello scambio, anche solo per raggiungere la quantità di turismo siciliano  di altre regioni italiane (come gli oltre 48 milioni e 400 mila presenze e 14 milioni e 500 mila arrivi della Toscana, i 17 milioni di turisti della Lombardia, ben più di quello indicati negli ultimi dati dell’Agenzia nazionale del turismo – Enit, al marzo 2023: nelle strutture ricettive siciliane, a fine 2022, si sono contati oltre 4 milioni 858 mila arrivi, +56 per cento rispetto al 2021, e 14 milioni 700 mila presenze complessive di cui circa 6,4 milioni straniere, pari al 43,5 per cento del totale), pur essendo la Sicilia il territorio e l’ambiente potenzialmente più idoneo per il turismo, anche di lunga durata.

Un traffico, ed un attuale sistema di questo, incapaci soprattutto, a ridurre ancora radicalmente il costo della separazione e, ancor più, ad eliminare la percezione di separazione fisica intellettuale e politica tra la Sicilia e il resto d’Italia, dell’Europa.

Il Ponte sullo stretto è anche una metafora italiana

Come tutti i ponti, soprattutto di grande dimensione e capacità di connessione, quello del Ponte dello Stretto è infatti ora un progetto, e diverrà una realtà, che hanno innanzitutto un enorme valore di metafora, etico, per alcuni espressione del tentativo dell’uomo di superare la scissione tra sé e l’altro, o tra parti di sé, certo immagine di riunificazione tra uomini e comunità (rete di relazioni in un campo dinamico di forze interdipendenti tra individui in rapporto di scambio reciproco) prima separati, tra etnie; al contempo esso è mezzo e rappresentazione di apertura ad una vita, ad un lavoro, comuni, di collegamento di luoghi fisici e mentali diversi, di volontà di trasmettere il proprio senso e di appropriarsi dell’altrui, di renderli prossimi ed aperti; momento e strumento di avvicinamento di esperienze di vita, di identità, che sono costruzioni complesse, di culture che ne sono forma e cardine, fino ad essere luogo di scambio, di possibilità di comunicazione, di rapporto nella reciprocità, come già il napoletano Antonio Genovesi (Lezioni di commercio o sia di economia civile, 1765) vedeva il momento d’incontro tra tutti gli uomini, l’economia, il fare con gli altri per un vantaggio di tutti che si attua nello scambio.

Il Ponte sullo Stretto sarà più importante anche sotto questo profilo, poiché si attuerà in un contesto territoriale, sociale, nel quale l’etnocentrismo, da alcuni ritenuto anzi familismo, appare forte, così che mantiene il dato positivo dei valori, delle idee e delle credenze sociali e però anche quello negativo dell’esclusione degli altri. Esso potrà determinare una tendenza, se non una attuazione, alla riunificazione che ritengo non si determini invece, né fisicamente né socialmente ma soprattutto non psicologicamente, negli altri tipi di collegamenti (incluso il guado, che altri però interpretano già come luogo di incontro, e a me sembra invece abbia più spesso avuto significato, o sia stato percepito, quale limen e superamento di questo) soprattutto per i collegamenti che si attuano mediante traghetti, che vengono comunque percepiti come momento di interruzione fisico-psicologico-culturale del passaggio dal luogo, e dalla collettività, propri all’altrui, o da quello al proprio (con mio grande divertimento, nel 1969, nel traghetto che portava da Calais a Dover, ho sentito, da hippy inglesi, con capelli lunghi e chitarre in spalla, figure stesse dell’universalità, definire il loro un ‘felice rientro ad un paese civile’, venendo dalla Francia del maggio 1968, del vietato vietare, per noi all’epoca uno dei paesi anche culturalmente leader).

Così che il ponte non è per il ponte, non è solo per il ponte, il ponte è per l’uomo e per le sue collettività, nel caso per l’intera Italia, se non per l’intera Europa, per l’uomo che cerca, conosce e apprezza le diversità, le rispetta ma le riconnette, non ha paura di confrontarle e di sceglierne le eccellenze. Ed al contempo il significato del ponte e l sua importanza non sono riducibili solo al suo valore d’uso, ma insieme al suo essere strumento nella collettività e per questa, e nel senso identitario che sa generare, anche con la sua capacità di essere esso stesso «paesaggio», esplicativo della connessione tra uomini, tra ambienti, quale ‘habitat privilegiato di significati complessi … secondo uno spettro di suggestioni che non è imbrigliabile nei confini del collettivo o del privato, della storia o della cronaca’ (Mario Virano, Facitori di ponti, Galileo, n. 194).

Il ponte può poi essere momento di quella bellezza della quale l’uomo, oggi più che mai, ha un grande bisogno, straordinaria opera d’arte, una delle grandi meraviglie realizzate dell’uomo; meraviglia che affascina ed attrae, come sono il Golden Gate Bridge di San Francisco, il Ponte di Brooklyn a New York, il Tower Bridge di Londra, l’Akashi Bridge di Kobe, il Sydney Harbour Bridge in Australia, il Ponte delle Catene di Budapest o il Forth Bridge di Edimburgo.

Del ponte, infine, mi pare si possano leggere, tra le molte diverse interpretazioni e volontà, alcune (non esclusive) che si riflettono anche in alcuni modelli della socialità, della politica: la volontà di riconnettere, di chi vuole sviluppare le società esistenti in una riunificazione non ostile al diverso ma che non vuole necessariamente negare né eliminare le differenze culturali, come vedono molti di coloro che siamo usi a definire “riformisti”; la volontà opposta, di spezzare le connessioni storiche, di annullare l’esistente chiuso nel territorio e nel pensiero della singola collettività per creare un diverso futuro, non necessariamente  simile al precedente, certo non necessariamente continuazione serena di quello, di coloro che potremmo chiamare, in senso ampio, rivoluzionari, pur se essi stessi forse non si vedono tali e non credono ad una rivoluzione (termine che del resto oggi sembra aver perso ogni significato positivo, essendo abusato per sciocchezze come l’assurda anti-economia della c.d. ‘decrescita felice’ o l’anti scientifica, inesistente emergenza climatica – v. World Climate Declaration, WCD-version-02182311035.pdf (clintel.org) – o la guerra alla CO2 in corso in Italia, o invece lo stravolgimento economico che si vuole imporre, per interessi della grande finanza, anche con le assurde scusa di tali sciocchezze divenute, da riconosciute assurdità, folli neo-linguaggi e neo-fedi accettati).

Il Ponte sullo Stretto: una storia lunga e travagliata

In questo contesto il Ponte attraverso lo Stretto è un’idea, un desiderio, un sogno, prima che un progetto, che ha una storia lunga e travagliata, che risale a ben prima dell’unità d’Italia ma che in questa acquisisce ulteriore valore. Esso infatti da sempre è considerato un’opera strategica per la riunificazione del Paese e lo sviluppo del Sud Italia, come ora per l’integrazione con l’Europa, per la quale da ultimo era rientrato nell’itinerario TEN-T, Scandinavo-Mediterraneo, delle Reti transeuropee dei trasporti.

Già subito dopo l’unificazione l’esigenza che questa trovasse espressione concreta anche col ponte era così sentita che nel 1866 il ministro dei Lavori pubblici Stefano Jacini aveva incaricato il napoletano Alfredo Cottrau (1839-1898) di studiare un progetto di ponte sullo Stretto di Messina, nel 1876 l’onorevole Giuseppe Zanardelli, convinto dell’opportunità di un’opera fissa tra le due coste, affermava: «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente».  La storia del Porto ha avuto poi una forte continuità, sia pure non operativa, fino ad oggi, al punto che, come ha relazionato nell’aprile 2023 l’ingegner Ercole Incalza, già capo della Struttura Tecnica di Missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di fronte alle commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera sul Ponte sullo Stretto, nel 2001 fu fatta la c.d. Legge obiettivo, e poi “nel 2002 si fece la legge 166 per garantire le coperture. Tanto le garantì, che anche per la Palermo-Messina-Catania nel 2011 venne nominato un commissario! Nella passata legislatura non si è fatto praticamente nulla per queste opere, e spiace dirlo perché erano coperte dal fondo per lo sviluppo della coesione 2014-2020 che alla fine di quest’anno perderemo per ben 30 miliardi”. Per cui, ritiene l’ingegnere, “Dire di no, o criticare o illudersi di non fare il ponte, è qualcosa che di tecnico non ha nulla. È solo innamoramento del dissenso che diventa schieramento politico. È un voler denunciare (presunti) errori solo per identificarsi o trovare un aggregante politico”.

Il Ponte, un’opera nella storia

Il Ponte è un’opera che a me pare continuità storica, concettuale, ideale, fino a ricollegarsi ai primi ponti, quelli etruschi, inventori dell’arco, come il ponte di Vulci, e colle grandi opere dei romani, che avevano reso sacra la ars pontificia, che seppero attraversare lo Stretto già nel 251 a. C. (Strabone, Plinio il vecchio) e, in dieci giorni da quando avevano raccolto il legno, il Reno (Caio Giulio Cesare – De bello gallico – libro IV), ed hanno sviluppato quell’arte fino a realizzare opere come il Ponte del Gard e l’acquedotto di Segovia, fino al ponte sul Danubio, per oltre un millennio il ponte più grande mai costruito, sia in lunghezza che in larghezza. Il Ponte è dunque un’opera che continua una storia, un pensiero, un discorso, una ricerca intellettuale e tecnica, nostri, mai interrotti nel nostro Paese. Un’opera la cui attuazione è realizzazione dell’assunto di Dante, per il quale fatti non foste a viver come bruti ma perseguir virtute e conoscenza (Inferno, XXVI), che ancora una volta sfida, ma insieme dimostra, il pensiero di Fichte (nel Contributo per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese, 1793): “l’uomo è (o ‘può’) ciò che deve; e se dice ‘io non posso’ è segno che non vuole”.

Il Ponte sullo stretto e le difficoltà di costruzione, tra Scilla e Cariddi ed i terremoti

La progettazione e la realizzazione di una tale opera sono però molto complesse, al punto che per alcuni, per i suoi valori ideali per l’importanza dell’ambito territoriale, dei profili storico e sociale, e insieme per queste difficoltà, il Ponte sullo Stretto sarebbe “Il Ponte Assoluto”.

Un’opera ingegneristica che già ad un profano sembra pari, se non superiore, alle ardite sfide di recente realizzate, come il più alto viadotto del mondo (a lungo il ns. Viadotto Italia, ora il francese viadotto di Millau, progettato da Michel Virlogeux con lo studio Foster), la più lunga galleria ferroviaria (prima l’Eurotunnel dalla Francia all’Inghilterra, dal 2016 la galleria di base del San Gottardo), la campata più lunga di un ponte (in precedenza la campata centrale del ponte di Akashi Kaikyō in Giappone, in esercizio dal 5 aprile 1998, con 1.991 metri di campata centrale, ora quella del ponte dei Dardanelli).

Le difficoltà per realizzarlo sono innanzitutto tali sotto il profilo geologico, ambientale e tecnico.

Lo stretto è infatti caratterizzato da forti venti, che in alcuni casi raggiungono o superano i 160 Km/h, e da forti correnti marine che, per la riduzione della sezione del passaggio, raggiungono il massimo della velocità proprio in corrispondenza della cosiddetta sella, là dove la larghezza e la profondità delle acque dello stretto sono minori (circa 3 km. di larghezza e 100 m. di profondità); così che lo Stretto è luogo di mostri mortali, Scilla e Cariddi, già nell’Odissea, ove Scilla non è descritta, ma latra orrendamente e inghiotte uomini, mentre di Cariddi, che risucchia le navi, «I piedi son dodici, tutti invisibili: / e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa / da fare spavento; in bocca su tre file i denti, / fitti e serrati, pieni di nera morte» (Odissea, XII canto); poi nell’Eneide, nella quale Cariddi «risucchia / vasti flutti nel fondo gorgo del baratro, e di nuovo / li scaglia alternamente nell’aria e flagella gli astri con l’onda», mentre Scilla è «in alto parvenza umana e fanciulla dal bel petto / fino all’inguine; in basso mostro dal corpo smisurato / unendo code di delfini e ventre di lupi» (Eneide, III canto).

L’area dello stretto è poi interessata da un sistema di faglie responsabili di numerosi terremoti, tra cui i tre di Messina, dei quali quello del 1908 è stato forse il peggior terremoto accaduto nel Mediterraneo (1783, con scosse fino a 7,0 della scala Richter, 1908, 7,1 o 7,3 Richter, 1975, 4º e 5º grado della scala Richter).

Le diverse ipotesi di attraversamento – l’approvazione del CSLP del ponte sospeso nel 1997

Nel corso degli anni sono state proposte diverse soluzioni tecniche e alternative per l’attraversamento. Ad oggi residuano solo due ipotesi accreditate, il ponte sospeso ad unica campata e quello a più campate con piloni in alveo; da tempo invece non si ritengono fattibili i progetti di tunnel sotto lo Stretto: come spiega, infatti, Alberto Prestininzi, professore di geologia applicata dell’università La Sapienza, già Scientific Editor in Chief della rivista internazionale IJEGE e Direttore del Centro di Ricerca Previsione e Controllo Rischi Geologici, che ha partecipato all’analisi del sito e all’elaborazione dei progetti “un tunnel, per scendere a 300 metri e risalire, con pendenze massime possibili del 12 per mille, avrebbe bisogno di gallerie di 56 km, altro che città metropolitana unita tra Messina e Reggio”, e l’idea “è stata la prima ad essere scartata per ragioni geomorfologiche e sismiche. In quell’area sono stati fatti studi sismici e geodinamici molto approfonditi, sappiamo tutto. Solo un pazzo potrebbe immaginare di posizionare una struttura rigida tra le faglie di una grande area sismica”. E non credo sia diverso per il c. d. ‘ponte di Archimede’, che non penso sia indifferente ai terribili movimenti di onde e correnti conseguenti ad un eventuale terremoto.

Già nel 1997 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici aveva invece espresso all’unanimità un parere con cui aveva sancito che «il ponte sospeso sullo Stretto di Messina dalla luce centrale di 3330 metri possa essere realizzabile in piena sicurezza conservando la completa affidabilità funzionale».

Nello stesso senso si sono poi espressi RFI, Anas e Ministero, che avevano approvato il progetto.

Il 7 maggio 2021 una relazione del Gruppo di lavoro incaricato a suo tempo di valutare le alternative per l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina dalla ministra Paola De Micheli, è stata trasmessa al Parlamento dal suo successore, il ministro Enrico Giovannini, indicando l’opportunità di realizzare un ponte a più campate con piloni in alveo. Il Kyoto club, Legambiente e Wwf hanno  pubblicato un contro-dossier, mirante ad una valutazione più positiva delle alternative all’attraversamento stabile dello Stretto di Messina. Essi hanno bocciato la relazione governativa, ritenendola «irricevibile perché viziata dalla esclusione pregiudiziale di una delle alternative (il miglioramento e potenziamento con soluzioni innovative del traghettamento) e perché mancante degli elementi di base essenziali – costi di realizzazione, manutenzione e gestione e valutazione degli impatti ambientali – per poter giustificare la scelta di ponte». Hanno sostenuto che per questo la relazione «andrebbe rinviata al ministero per le Infrastrutture e la mobilità sostenibile, perché si proceda davvero ad un vaglio delle ipotesi più sostenibili».

Il progetto per il ponte sullo stretto sospeso del 2011, l’ipotesi di un ponte a più campate e le critiche a questo

Un progetto per il ponte sospeso c’è dunque già (del 2010/2011), pur se non ha finora superato la fase conclusiva di valutazione di impatto ambientale, né erano stati elaborati approfondimenti tecnici ed economico-finanziari nel merito (il costo prudenziale stimato all’epoca era comunque di 8,5 miliardi di euro, tutto a carico dello Stato); il progetto di un ponte a più campate sembra invece meno avanzato e completo, tanto che gli ambientalisti lo hanno bollato come «una mera ipotesi del gruppo di lavoro, senza nemmeno uno studio di fattibilità». Kyoto club, Legambiente e Wwf hanno sostenuto che  «Il ponte non sarebbe competitivo e giustificato nemmeno se si considerano i traffici sulle lunghe distanze che vedono il trasporto merci via nave tra la Sicilia verso i porti della Campania e della Liguria, ma anche quello su ferro che viene generato dal trasbordo delle merci su treni nei grandi porti del Sud (Gioia Tauro e Taranto), né se si prende in esame il trasporto passeggeri, considerato che già oggi la linea ferroviaria

Salerno-Reggio Calabria consente velocità a 200 km/h e può essere percorsa in 4 ore e mezza e potrebbe anche arrivare al di sotto delle 4 ore (se fossero realizzati ulteriori interventi puntuali sulla infrastruttura e migliorato l’esercizio), mentre i collegamenti aerei low cost dal resto d’Italia verso la Sicilia assorbono il 60,3% della domanda».

Per loro «È quella del traghettamento l’alternativa migliore dal punto di vista economico-finanziario, sociale e ambientale che assicura già oggi, senza ulteriori impatti, tempi di attraversamento di 20-35 minuti con corse per le persone con le auto al seguito che avvengono con una frequenza di 40 minuti o 1 ora, a seconda delle compagnie di navigazione, e con tempi per il traghettamento dei treni che, con migliorie relative all’imbarco di convogli interi, possono essere portati da 1 ora e 10 a 40 minuti.

Ma su cui occorre investire anche per la ricerca di soluzioni innovative, con nuove tecnologie che riducano ulteriormente i tempi di percorrenza e migliorino i servizi nell’area dello Stretto».

Il decreto 24 maggio 2023

Il 24 maggio 2023 il governo Meloni ha approvato un decreto per riavviare il piano, con l’obiettivo di iniziare i lavori nel 2024 e completarli entro il 2030. Il costo stimato dell’opera è di 14 miliardi di euro. Dopo il via libera del Senato alla conversione in legge del decreto sul ponte sullo Stretto di Messina, il vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha incontrato i media, ai quali ha comunicato che il ponte sullo Stretto di Messina verrà realizzato secondo lo schema del ponte sospeso, aggiornando il relativo progetto comprendente un progetto tecnico alla data costituito da 8.000 elaborati progettuali, che prevede: una lunghezza della campata centrale di 3.300 metri; una larghezza dell’impalcato di 60,4 metri; un’altezza delle torri di 399 metri; un’altezza del canale navigabile centrale di 65 metri per il transito di grandi navi; 6 corsie stradali (3 per ciascun senso di marcia compresa la corsia di emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità dell’infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno.

Il Ministro ha comunicato che il ponte è stato progettato con una resistenza al sisma pari a 7,1 magnitudo della scala Richter, pari al terribile terremoto di Messina, con un impalcato aerodinamico di “terza generazione” stabile fino ad una velocità del vento di 270 km/h, e che grande attenzione è stata posta alle opere di collegamento: nel progetto definitivo sono previsti 20,3 km di collegamenti stradali e 20,2 km di collegamenti ferroviari.

Se attuato con una campata unica di 3.300 metri e una altezza di 65 metri esso sarà il ponte sospeso più lungo del mondo; il primato attuale con la campata principale, solo stradale, di 2.023 metri. è del ponte dei Dardanelli in Turchia, ove vi è anche il terzo ponte sul Bosforo, ponte di tipo ibrido, ovvero contemporaneamente sospeso e strallato lungo 2.164 metri, con una campata centrale di 1.408 metri: il ponte sospeso ferroviario più lungo al mondo, costruito dal romano Gruppo Astaldi, ora parte del Gruppo italiano Webuild (nuovo nome di Salini Impregilo, di Roma, gruppo che nel 2022 ha prodotto 8,2 miliardi EUR di fatturato) tra il 2013 e il 2016; ponte che con le sue due torri, ciascuna alta 322 metri, una decina in più della Torre Eiffel, è uno dei più alti al mondo, mentre la larghezza di 58,4 metri, che comprende otto corsie autostradali e due binari ferroviari, oltre a un doppio attraversamento pedonale, lo classifica come uno dei ponti sospesi più larghi del mondo.

Il ministro ha poi affermato che la realizzazione darebbe 100.000 posti di lavoro, farebbe risparmiare ai siciliani sei miliardi all’anno, abbassare l’inquinamento in particolare quello marino eliminando centinaia di traghetti, si situerebbe in un ambito di investimenti in Sicilia e Calabria destinati ad infrastrutture dell’ordine di 28 miliardi per ciascuna di tale regione, da lui vista, nell’insieme, come una rivoluzione (NDR: questa sì) per i relativi territori, economica culturale sociale ambientale.

I calcoli indicati sembrano riguardare i posti di lavoro in relazione alla costruzione, per i risparmi in relazione all’intero costo della insularità, come se venisse totalmente eliminata.

Le valutazioni e i relativi calcoli appaiono di grande rilievo ed interesse, al contempo necessari di approfondimento, secondo procedure di verifica o falsificazione. Incredibilmente, però, nessuno dei giornalisti presenti ha avanzato domande al Ministro, tranne una, circa il costo globale della costruzione, e non hanno nemmeno commentato questo dato.

L’insularità: una condizione che incide sulla costruzione del ponte sullo stretto

Ora, non c’è dubbio che l’insularità incide sull’intero essere dell’isola e dei suoi abitanti, in modo pervasivo: L’insularità, voglio dire, non è solo una segregazione geografica: porta anche alla segregazione all’interno delle nostre province, delle nostre famiglie, delle nostre stanze e dei nostri cuori, costruendo il nostro orgoglio, la nostra diffidenza, la timidezza e il nostro senso di essere diversi. G. Bufalino, L’isola plurale, 1985). Essa comporta, oltre ad una separazione fisica ed in parte culturale, un grande costo, riconosciuto anche all’art. 119, VI c.: La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità e dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea (C-88/03), che ha anche riconosciuto l’autonomia legislativa in ambito tributario della comunità autonoma basca in Spagna (C-428/06 e C-434/06).

La Regione Sicilia ha calcolato tale costo, anche grazie all’istituto di ricerca Prometeia (v. anche la ricerca dell’Università di Catania, e ivi Marina Cavalieri, Daniela Di Pasquale, Benedetto Torrisi, Gianpiero Torrisi, An empirical take on the economic effects of insularity: the Italian regional e Insularity and international trade: The case of Sicily, nella quale possiamo affermare che le due isole su cui si concentra questo lavoro (Sicilia e Sardegna (Biagi et al., 2019), da un punto di vista descrittivo, sono caratterizzate da una posizione marginale non solo dal punto di vista meramente geografico, ma anche dal punto di vista dei costi di trasporto e, più in generale, della competitività territoriale proprio per un importo annuale maggiore o quasi uguale rispetto a quello che il ministro ha ripetuto, ovvero di circa sei miliardi l’anno, così calcolati: Il primo approccio si basa su un’analisi dei principali fattori che influenzano lo sviluppo delle regioni insulari, ovvero “dimensione”, “distanza” e “vulnerabilità”. Questi fattori sono stati quantificati utilizzando alcune variabili proxy storiche applicate per l’ultimo ventennio a tutte le regioni italiane. È stato applicato un modello regressivo per ottenere una stima econometrica del costo dell’insularità in Sicilia, pari a 6,54 miliardi di euro, pari al 7,4 per cento del PIL regionale (riferito ai valori del 2018).

– il secondo approccio si basa sul MMS, “Modello multisettoriale della Regione Siciliana”, ed effettua un’analisi controfattuale per stimare i costi di trasporto extra che penalizzano la Sicilia e le sue attività e attori economici, nonché l’impatto economico di una stima dei costi di insularità in Sicilia riduzione dei costi per i servizi di trasporto e magazzino. Secondo questa procedura, questa riduzione avrà un effetto molto positivo, rendendo i costi di trasporto medi in Sicilia pari alle regioni continentali meridionali, con un conseguente aumento del PIL regionale del 6,8% (2018), vale a dire. circa 6,04 miliardi di euro. (le traduzioni dall’originale in inglese è quella automatica, da me applicata).

Mentre non ritengo quindi corretto adottare nel caso di specie un tasso di sconto sociale (v. Marco Ponti), che in realtà non terrebbe conto delle dimensioni annuali di questo svantaggio, non penso però nemmeno corretto ritenere che il ponte possa eliminare tutti i costi (svantaggi) della insularità, così come non mi sembra corretto pensare che parte di questa non sia superabile prima ancora con forti sviluppi delle linee di navigazione marittima e aerea. Possiamo qui forse adottare una pur rozza e probabilmente eccessivamente prudenziale valutazione, assumendo che il ponte possa eliminare (almeno) un quarto del problema dell’insularità; in questo caso si avrebbe un recupero di uno svantaggio sociale dell’ordine dei 1,5 miliardi l’anno. Non sembra peraltro che nel calcolo del recupero di svantaggi del territorio sia calcolato il recupero del costo della mancata integrazione territoriale totale, ovvero quantomeno del costo che subiscono le varie altre regioni del Sud potenzialmente connesse, e men che mai quale possa essere lo sviluppo economico che si aumenterebbe in tutti tali ambiti, economico e sociali, che si potrà determinare se si supera il ‘muro dello Stretto’.

Sempre adottando parametri e calcoli rozzi, valutando il costo globale del ponte di circa 14 miliardi, un tasso di interesse superiore a quello dei titoli di Stato trentennali, del 5%, e un ripagamento del mutuo relativo a 10 anni (quando per solito opere del genere godono di finanziamenti di molti decenni con tassi molto limitati), e nessun contributo a fondo perduto della UE, il costo globale sarebbe all’ordine del 15 miliardi 840 milioni. Nello stesso periodo ove anche si calcoli, come sopra attuato, un recupero di svantaggio sociale più limitato, dell’ordine di 1,5 miliardi l’anno, questo raggiungerebbe i 15 miliardi, sempre naturalmente senza nemmeno aver calcolato il profilo finanziario di ritorno, di pedaggi e proventi diversi; cosicché il recupero dello svantaggio sociale sarebbe raggiunto nell’anno successivo, nel sedicesimo anno. La durata del ponte, e del suo utilizzo, peraltro, ovviamente sono calcolati non inferiori a cent’anni. Cosicché dal diciassettesimo anno, in questa valutazione, che mi appare molto prudenziale, si determinerebbe un vantaggio sociale, che permarrebbe per 83 anni, a vantaggio degli abitanti delle regioni che del ponte fruiranno i vantaggi più diretti.

Sostenibilità economica del Ponte sullo stretto: le valutazioni degli economisti Vavalli e Barretta

Sotto il profilo economico-finanziario, poi, si dovrebbe ovviamente anche calcolare il ritorno dei proventi per la costruzione del ponte stesso, oltreché i flussi relativi ai pedaggi su questo (calcolo che sicuramente deve essere stato effettuato, ma non conosco), e – in aggiunta – la ricaduta di investimenti totali sul territorio, anche per effetto del moltiplicatore keynesiano e degli ulteriori effetti indotti.

Come ha infatti notato l’economista componente dell’ufficio di presidenza del Comitato Tecnico scientifico dell’Intergruppo parlamentare “Sud, aree fragili e isole minori”, Vito Umberto Vavalli: “La disponibilità di maggiori risorse economiche e finanziarie derivanti dall’esecuzione e poi dalla gestione e manutenzione del Ponte determinerà un miglioramento strutturale del sistema e si accompagnerà ad un miglioramento del merito creditizio delle imprese locali, che trasmetterà impulsi positivi fino alle famiglie. A questa migliore condizione si aggiungerà un’ulteriore elemento, latente, difficile da determinare ma rilevante soprattutto nelle regioni interessate, che hanno ampie potenzialità di sviluppo tuttora inespresse. Il più favorevole scenario economico interregionale abiliterà infatti attività produttive e di servizi incrementali, con manifestazione di ulteriori effetti anche su quelle iniziative che non sarebbero mai diventate economiche in carenza di infrastrutture, oltre a quelle che possiamo definire come interstiziali. È ragionevole attendersi, dunque, un vantaggio competitivo addizionale dei territori toccati dagli investimenti, partecipi direttamente o indirettamente alla realizzazione, con esternalità positive in grado di riverberarsi anche sugli operatori che beneficeranno delle ricadute sulle altre aziende che già innervano il tessuto economico locale. Indubbia, infine, l’azione di contrasto ai fenomeni di emigrazione tipiche di quelle zone del Paese.”

Nella stessa direzione, l’economista Giovanni Barretta, anch’egli partecipante della Presidenza dello stesso tavolo tecnico, nota ancora: “A mio avviso, il Ponte sullo Stretto costituisce davvero, sotto il profilo tecnico-economico e della ricaduta sociale che esso potrà determinare, quella grande opera in grado di rilanciare le sorti dell’intero Mezzogiorno. Ciò sia per gli effetti positivi che si produrranno sui territori direttamente interessati dall’attraversamento dell’infrastruttura, che per quelli che, conseguentemente, si genereranno sulle reti complementari di interconnessione nelle altre macro e micro aree contermini. Il Ponte potrà essere un volano, un acceleratore formidabile di sviluppo, non solo per la Calabria e la Sicilia, ma per tutto il Mezzogiorno, comprese le sue aree interne e più fragili, favorendo la nascita di un sistema integrato di sviluppo. Nel quadro delle grandi reti di collegamento europee: il Ponte potrà connettere la Sicilia con l’Italia peninsulare e portare finalmente a compimento il corridoio europeo Scandinavo/Mediterraneo. Oggi, invece, la Sicilia è rimasta un’isola e, nonostante la sua ampia superficie e la numerosa popolazione presente, è ancora largamente emarginata dal resto del Paese che, a sua volta, ha rinunciato finora a fare di essa il vero trampolino di lancio per l’accesso privilegiato al bacino del versante meridionale del Mediterraneo e delle sue immense opportunità di relazioni politiche, economiche e commerciali. In una recente intervista, rilasciata a CentroSud24, Marco Bourelly, presidente di Confimea Mediterraneo, ha proprio segnalato la necessità di recuperare e intensificare i rapporti con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e farne una grande occasione di crescita e sviluppo del Mezzogiorno.”

“La convenienza – continua Barretta -, calcolata anche solo in relazione all’insularità, e quindi all’effetto per la Sicilia, è già sopra rammentata con calcoli fortemente prudenziali che, sebbene necessitino di ulteriori valutazioni con più precise analisi di fattibilità costi/benefici, sostanzialmente si condividono. Il Ponte non collegherà e unirà soltanto la Calabria e la Sicilia, ma favorirà le interrelazioni e interconnessioni con tutte le altre grandi medie e piccole infrastrutture del Paese, come una grande arteria offre connessioni e fa pervenire il sangue, fino all’ultimo è più piccolo capillare. Esso determinerà, quindi, interrelazioni con le infrastrutture portuali (di Gioia Tauro, Napoli, Bari, Palermo e Catania), con quelle aeroportuali, con quelle ferroviarie ed autostradali. Le ricadute sul territorio, economiche e sociali, sarebbero notevoli, in termini di crescita dell’occupazione e quindi del reddito e dei consumi, con effetti significativi e persistenti sulla domanda aggregata. E’, infatti, nelle regioni meridionali, ove il tasso di disoccupazione è storicamente più alto e il reddito pro capite più basso, che il moltiplicatore keynesiano è meglio in grado di spingere in avanti la domanda. Evidentemente, un intervento di spesa pubblica è tanto più efficace, anche nel medio e lungo termine, quanto più e meglio interpreta i fabbisogni specifici dei territori, assecondandone le vocazioni naturali. Per questa via potranno, peraltro, valorizzarsi le potenzialità a tutt’oggi  qui latenti ed inespresse e contrastare  i fenomeni di progressiva desertificazione economica e sociale e di depauperamento, anche intellettuale, del Mezzogiorno.”

Grandi opere in grandi nazioni – rinvio all’intervista al professor ingegner architetto Enzo Siviero

Leggendo il resoconto delle comunicazioni del Ministro, ripercorrendo la storia del Ponte e la documentazione corrente che lo riguarda ritornano in mente alcune considerazione: una grande nazione (grande culturalmente, economicamente e tecnologicamente), nella quale sono nate ingegneria ed architettura può cessare di produrre grandi opere e opere tecnologiche, evitare Tav e Ponte, centrali nucleari e altre opere che sono espressione del pensiero e dell’arte del disegnare, del progettare, del fare? Ciò non significa ritornare indietro nel pensiero, nella tecnologia, nella visione del Paese stesso e dei suoi cittadini, già geniali architetti ed ingegneri, costruttori di ponti e di opere d’arte? Ciò non fa crollare, col senso di sé, il prestigio, ma anche la immagine dell’Italia? Mentre, da quando gli Etruschi usarono l’arco e i Romani nominarono i pontifices, siamo stati i progettisti e costruttori nel mondo di ponti, dighe, acquedotti, strade, porti; progettisti e costruttori che anche di recente hanno mantenuto la leadership in campo internazionale a lungo, fra gli anni ‘50 e ‘80 del secolo scorso, sull’onda dell’attuazione del grande piano nazionale autostradale e per merito amministrazioni pubbliche colte e di autori geniali, che sono nella storia mondiale dell’ingegneria infrastrutturale e strutturale (Renato Lamberti, Presidente Società Italiana Infrastrutture Viarie, Università di Napoli Federico, Ponti e valore del progetto, in Galileo, 194), con progettisti quali Arturo Danusso, Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi (l’ingiustamente calunniato, grande Morandi), Sergio Musmeci; progettisti e costruttori fino a ieri cercati anche negli altri paesi, quando l’opera era più difficile o si voleva fosse particolarmente ben fatta e bella, che hanno creato  un’ingegneria Italian style che va a occupare un posto di primo piano nel panorama dell’ingegneria internazionale (Sergio Poretti); potremo continuare ad esserlo se nella nostra stessa nazione rinunciamo ad esserlo? Chi affiderebbe ancora opere del genere ad una azienda italiana se gli italiani per primi rinunciano a farlo? Già la scarsezza, ed anzi l’annullamento, di grande opere ha diminuito la capacità produttiva nei settori nei quali lo Stato italiano ha deciso di non investire, come accaduto nel settore della costruzione degli impianti nucleari: quando il CCN, consorzio per le centrali nucleari, doveva costruire la parte edilizia della centrale nucleare di Montalto di Castro, era elevatissima la qualità delle nostre imprese in quello stesso settore, dopo la decisione di non realizzare l’impianto, nessun impianto di quel tipo, vennero dispersi i relativi gruppi di lavoro, sciolta la società che doveva servire proprio a verificare, attuare e certificare la correttezza e qualità delle esecuzioni, e così proporre con grande capacità di realizzare impianti in tutto il mondo, che poi altri hanno fatto; e dopo poco fallirono varie società, come la società Fochi e la società Simi che avrebbero dovuto realizzare la parte di armatura dell’edificio, come fallì l’impresa che avrebbe dovuto fornire i giganteschi, specialissimi tondini, ed altre imprese che all’opera avevano partecipato.

Sotto il profilo politico-istituzionale, poi, se crediamo a questa nazione, anche conoscendone le fratture e divisioni, è tempo di cercare di unirne maggiormente, anche fisicamente, idealmente, psicologicamente, le diverse parti, ravvivarne il Sud, che da tempo sta invece sentendo una lontananza che aumenta, che rischia di essere separazione, in particolare in quella Sicilia che ha storicamente avuto sempre una tendenza all’autonomia, istituzionale, politica ma prima ancora culturale, mentale, in quella Calabria e quelle ragioni dell’estremo Sud che avvertono un forte isolamento, se non l’abbandono, dal potere centrale.

Nell’analisi del fenomeno ponte, poi, io credo non si dovrebbero dimenticare i qui rammentati significati e profili metaforici, culturali e sociali, dello stesso ponte, come questi portino ad un rafforzamento e ad una maggiore riunificazione della società ove esso insiste

Alla luce di tali quesiti, e viste però anche le critiche poste all’opera, è  pertanto opportuno approfondire, in un’ottica costruttiva, il tema, comprendere se e quali profili positivi questa stessa opera potrà dare.

CentroSud per questo ha intervistato il professor ingegner Enzo Siviero, uno dei più autorevoli progettisti e storici dei ponti italiani.

Troverete l’intervista nella seconda parte di questo speciale di approfondimento.

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