Il Ponte sullo Stretto, grande opportunità per il porto di Gioia Tauro e il sistema portuale del Sud

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IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA E REGGIO CALABRIA AUMENTA L’INTERCONNESSIONE SICILIA – MEZZOGIORNO D’ITALIA – EUROPA, DIMINUISCE I LIMITI E I RISCHI, ANCHE AMBIENTALI, DEL PASSAGGIO, NON PONE OSTACOLI AL PORTO DI GIOIA TAURO NÈ LO DANNEGGIA. LA POSSIBILITÀ CHE DARÀ DI TRENI AD ALTA CAPACITÀ DALLA SICILIA O PER LA SICILIA AUMENTA LA
POTENZIALITÀ DI GIOIA TAURO E DI TUTTO IL SISTEMA PORTUALE DEL SUD, DELL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO.

Speciale Ponte

NIMBY, ambientalisti estremisti dannosi per l’ambiente, neoluddisti, fautori della stagnazione secolare, o decrescita, ultima generazione, soprattutto politique politicienne: tutto il mondo dell’irrazionalità e dell’ipocrisia contro il Ponte, assieme ad alcuni armatori che mirano al gigantismo navale pericoloso e dannoso nello Stretto

La progettazione e realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e Reggio Calabria, come lo ha definito di recente il Ministro delle infrastrutture e del trasporto, formano l’“anello di congiunzione che unisce i 30 miliardi di euro per i cantieri aperti in Sicilia su strade, autostrade e ferrovie con i 30 miliardi in Calabria”, che farà altresì che i vantaggi delle opere realizzate in Sicilia non si fermino lì, che quelle non divengano un pur grande ma limitato “circuito ovale” siciliano. Esse sono di particolarissimo interesse e vantaggio pubblico, economico, sociale e culturale, configurano l’opera intellettualmente, culturalmente ed economicamente più importante, potenzialmente più produttiva, che si stia attuando nel Mezzogiorno d’Italia.

Anche le analisi e le discussioni che si stanno verificando al riguardo sono quindi altrettanto importanti, e devono attuarsi nella massima serietà e verità, in modo costruttivo, che possa semmai suggerire cose che siano effettivamente utili, da prevedere nell’ambito dello sviluppo del progetto esecutivo, in un’ottica ottica di sistema, che miri, con la massima razionalità, al maggior vantaggio del Sud, dell’intera Italia.

Nella dialettica corrente, e così nei media, 3 invece, i critici e gli stessi politicanti che per anni al potere hanno ignorato le necessità delle infrastrutture necessarie al trasporto e di fatto le hanno impedite, cercando addirittura di annullare contratti già in esecuzione, fingono di ignorare e cercano di nascondere la realtà, che in Sicilia e Calabria si stanno già realizzando le opere che essi dicono essere alternative al ponte, quando sono connesse a questo e che il rilancio della sanità locale – che ora dichiarano una ‘ben altra necessità’,
dopo che da essi stessi è stata distrutta sotto i loro governi, non è assolutamente alternativo al Ponte. Dichiarano più di preoccuparsi molto per i problemi sismici, mentre peraltro non risulta che si siano mai preoccupati seriamente, ad esempio, di alcuni dei viadotti, alcuni tra i più alti del mondo, che sono in Calabria e in Sicilia.

Affermano poi in modo ridicolo di volere diverse modalità di collegamento tra l’Italia e la Sicilia senza però spiegare quali queste dovranno essere concretamente ed ignorando soprattutto le due necessità, i due principi, che pure essi stessi, in versione ambientalista, riconoscevano e dichiaravano essere fondamentali: la sicurezza, che è, e deve essere, sempre la priorità quando si tratta di questione che coinvolge il traffico e soprattutto la navigazione; con questa, la tutela dell’ambiente rispetto al traffico marittimo e dello stesso Stretto, anche in rapporto alle città di esso.

Cantando le loro luttuose inutili geremiadi, fingono al contempo di ignorare rischi e potenziali danni che, al contrario, vanno rammentati e valutati soprattutto proprio in relazione alla navigazione, alla quantità, alla velocità e alle norme dimensioni delle navi, all’inquinamento che esse provocano; traffico, dimensioni e inquinamento delle navi che hanno superato negli ultimi anni ogni limite precedente, che impediscono uno sviluppo ulteriore.
Ignorano questi limiti e rischi reali, sostenendone di inesistenti, mentre si attua una corsa al gigantismo navale e si dovrebbero invece rammentare i rischi e i danni di questo, ad esempio, che il naufragio della Costa Crociere è stato finora quello della nave più grande e teoricamente più sicura mai costruita (di una nave più grande e sicura del Titanic), che in esso solo grazie alla bravura dei semplici marinai, sono morte “solo” 32 persone, che il tentativo di recuperare i danni ambientali da esso causati è durato oltre quattro anni,
senza che si possa ritenere che questi siano totalmente annullati.

Per il Ponte, invece, prevale la cultura del NIMBY, Not in my back yard, peraltro applicata solo circa i terreni e gli ambiti oggetto di esproprio e di costruzione, anche evidentemente per forti pressioni di portatori di grandissimi interessi economici diversi che ancora tentano di impedire si realizzi il Ponte; le critiche a questo quindi esprimono valutazioni negative a volte assurde, irrazionali 4, nel caso migliore semplicemente errate, sempre basate su fatti e dati non veri. Con esse spesso esprimono asserzioni illogiche quegli ambientalisti estremi che rifiutano di gestire l’ambiente, anche se lo si faccia proprio per proteggerlo, e quelli che, dopo che a lungo hanno denunciato i danni ambientali e i rischi dei traghetti e di un traffico marittimo locale sempre maggiore, enorme, eccessivo rispetto alle caratteristiche dello Stretto, che Dall’antichità è ritenuto uno dei corridoi marittimi più pericolosi per la navigazione che vanta un triste record d’incidenti e collisioni, eppure continuano ad attraversarlo annualmente più di quindicimila imbarcazioni (come rilevava
Italia Nostra il 13 4 2012) rigettano adesso l’unica alternativa possibile, il ponte, anche se il traffico, i rischi e i danni ambientali aumentano.
I critici ignorano così la maggiore sicurezza, efficienza e velocità del traffico, dei trasporti 5 , che si otterrà con la sostituzione di molti dei mezzi navali e stradali, che emettono grandi quantità di emissioni, con i treni, ed ignorano anche l’effetto che per loro dovrebbe essere primario, proprio la riduzione dell’inquinamento, attuato anche con la riduzione del tempo di viaggio tra la Sicilia e la Calabria, del passaggio dello Stretto, che otterrà che si producano meno emissioni per passeggero o per tonnellata di merci trasportate, al punto che secondo alcune stime addirittura vi sarebbe un risparmio di 140 mila tonnellate di CO2 all’anno

Ignorano inoltre tutti gli altri vantaggi enormi che il ponte e il correlato sistema potrà garantire per decenni se non per sempre: all’inizio – ma anche poi per l’effetto di trascinamento – la creazione di posti di lavoro con un impatto positivo sull’economia locale, da anni, se non decenni, o da sempre in crisi, e quindi una minore emigrazione e una maggiore attrazione, non solo turistica ma anche di radicazione, che a sua volta avrà un impatto positivo sull’economia e sull’ambiente, riducendo la necessità di viaggi e di costruire nuovi
immobili e infrastrutture in altre aree; la migliore integrazione aeroporto-ferrovia-autostrade-trasporti locali, anche grazie alla realizzazione di una Metropolitana di Superficie con 8 fermate tra Reggio e Messina, che garantirà un collegamento continuo, e così una ulteriore maggiore facilità di scambi e della cooperazione commerciale, economica e culturale tra le città metropolitane di Reggio Calabria e Messina, con un forte sviluppo di esse, che già oggi esprimono circa il 30% della domanda di attraversamenti dello Stretto, senza però aver finora ancora creato un’integrazione vera; ignorano infine l’effetto più importante, la fine della separazione tra la Sicilia e il continente mediante la trasformazione dell’opera in un rapporto bilaterale, simmetrico e paritetico, non solo fisico, di arricchimento di entrambe, che si estenderà nel rapporto tra l’isola e le altre regioni del Sud Italia e a vantaggio di queste, di tutti.

Il ponte è troppo basso e le navi più alte di lui? No

L’esempio grave delle critiche localistiche, miopi e soprattutto tecnicamente infondate, che qui si analizza è quello di coloro che vorrebbero terrorizzare i cittadini calabresi affermando che il Ponte impedirebbe il transito di tantissime navi nello Stretto, causerebbe così danni gravissimi per la navigazione in genere e soprattutto per il porto di Gioia Tauro; danni che si verificherebbe subito e aumenterebbe ancora in futuro.

Affermazione del tutto contraria a ciò che accadrà, dal momento che il porto di Gioia Tauro potrà fruire di rapporti fondamentali tramite il sistema ferroviario, anche verso la Sicilia e i porti ed aeroporti di quella, a partire di Catania e Comiso, a loro volta in corso di ampliamenti per creare un Hub Mediterraneo, ma anche di Palermo e Trapani.

Chi afferma che il Porto sarà danneggiato dalla presenza del Ponte, in quanto tale (e non lo siano singoli navi, o tipologie di queste) assume un postulato non vero, che esisterebbero già molte navi mercantili di altezza superiore a 72 metri (alcuni parlano di 84 m), e che queste diverrebbero in futuro maggioranza; asserisce in particolare che le grandi navi portacontainer, le cosiddette Ultra Large Container Vessel (ULCV), o Ultra Large Container Carrier (ULCC) non potrebbero passare sotto il ponte e quindi nello Stretto, e
insieme non potrebbero circumnavigare la Sicilia senza perdere molto tempo e usare troppo carburante, che quindi il Ponte renderebbe il porto di Gioia Tauro inutile, o comunque troppo poco utilizzato. Così alcuni pervengono ad affermare che se si costruisse il ponte “Già oggi si stima che tra il 20 e il 30% del traffico attuale non potrebbe più raggiungere Gioia Tauro. Il porto calabrese rischia di perdere almeno 30 miliardi di euro di traffico

Affermazioni che, mentre sembra porre Gioia Tauro come l’unico punto di rilievo del sistema portuale di Calabria e Sicilia, se non dell’intero sistema portuale Italiano, in ogni caso non sono vere, sono basate su dati inesistenti o errati e su previsioni prive di qualsiasi fondamento razionale, o di parte.

Il Ponte è alto più di 65,5 m – le navi portacontainer giganti sono più basse del Ponte

Il ponte ha un’altezza massima in mezzeria di circa 74 mt sul livello del mare e garantisce un canale di navigazione largo 600 metri con franco minimo navigabile di 65,5 metri di altezza (come spiegato nella audizione in Parlamento di Webuild, società incaricata di portarne a termine la progettazione e di realizzarlo), è molto più alto di quanto è richiesto e sia necessario per mantenere l’attuale navigazione nello Stretto con navi dei tipi già ivi impiegati, che già vi transitano (incluse le portaerei americane).

Per verificare se esso sia adeguato rispetto al traffico attuale e a quello futuro, bisogna innanzitutto rammentare che nello Stretto di Messina non è consentito il transito di navi che trasportino prodotti petroliferi o altre sostanze nocive all’ambiente marino di stazza lorda uguale o superiore alle 50.000 tonnellate, e così, naturalmente, le petroliere, cosicché non fa nemmeno conto esaminare l’altezza di queste.

È poi importante ricordare che Gioia Tauro è un porto di scambio, il primo porto di transhipment italiano per la movimentazione di container e quinto in Europa, che esso non è destinato quindi prioritariamente a navi da crociera, che fanno scalo normalmente in città interessanti per la crociera stessa, ma a navi mercantili destinate al trasporto, in particolare alle navi porta container. Queste allo stato non raggiungono le altezze previste per il ponte.
Ad oggi non risultano navi porta-container di altezza tale da non poter passare sotto il ponte, men che mai che navighino nel Mediterraneo, anche perché la luce, ovvero il franco navigabile, del ponte sul canale di Suez, l’Al Salam Bridge, è dell’ordine di 68 m, circa 4 m meno dei 72 metri massimi che in caso di necessità saranno disponibili col Ponte sullo Stretto di Messina, essendo questa l’altezza dal piano stradale in assenza di traffico pesante, di treni.

Le “Suezmax” ovvero quelle navi le cui dimensioni sono le massime che permettono il loro passaggio nel canale di Suez, hanno limiti di pescaggio di 20,1 metri, di larghezza di 77,5 metri e di altezza massima inferiore a 68 metri, in modo da rendere agevole il passaggio al di sotto del ricordato Al Salam Bridge.
L’attuale porta container più grande del mondo è la Ever Ace, lanciata nel luglio 2021, prima delle navi porta-container della classe A di Evergreen che conterrà un totale di 14 navi, quattro già in servizio (Ever Ace, Ever Act, Ever Aim e Ever Alp) e altre 10 in costruzione o in progetto (Ever Arm, Ever Art, Ever Apex, Ever Atop, Ever Alot, ecc.). Ever ace, che ha un DWT (Deadweight Tonnage, equivalente al dislocamento e quindi alla massa/peso) di 241.960 tonnellate (il Titanic aveva una stazza lorda di 45.320 t., secondo alcuni un peso di 53.219 t., prossimo al dislocamento, circa il 22% di Ever Ace) è già venuta nel Mediterraneo passando per Suez.

È prevedibile poi che poche porta-container raggiungeranno in futuro maggiori dimensioni, soprattutto altezze, per molti concorrenti motivi tecnici e economici (v. Chris Baraniuk, Why container ships probably won’t get bigger, 5 7 2022)

Mentre un aumento della massa della nave determinerebbe ‘solo’ difficoltà nella gestione globale, ad esempio una grande aumento degli spazi di arresto 11 , un’altezza eccessiva creerebbe anche problemi di equilibrio e gestibilità nella navigazione, rischi di perdita di container, ma addirittura maggiore vulnerabilità nelle tempeste peggiori e difficile gestibilità in presenza di venti forti, come hanno comprovato più incidenti molto costosi, quale la vicenda di Ever given, la nave qui posta nelle foto 2 e 3, una delle più grandi navi portacontainer del mondo. Essa si è incagliata sulla sponda orientale del canale di Suez, e ha bloccato il traffico marittimo del canale, ampia parte di quello mondiale, per 6 giorni nel marzo 2021, avendo perso manovrabilità per “L’effetto squat e bank 12, la velocità e i cambiamenti di direzione del vento e gli ordini al timone della nave”, nonostante la presenza in plancia di un team intero di piloti; confermando così (se mai fosse stato necessario, visti i vari precedenti, tra i quali anche i casi della nave Costa Concordia, v.
foto 6, e della nave Dali, v. foto 4) la pericolosità di questi giganti difficilmente gestibili, soprattutto in ambiti relativamente stretti. Incidente peraltro di tipo non raro: ad esempio a febbraio 2016 una nave da 19.000 TEU della China Shipping Container Lines (CSCL), la Indian Ocean, è rimasta incagliata nel fiume Elba in Germania per 5 giorni, sempre per problemi determinati dal vento. Poco dopo un incidente simile è capitato alla APL Vanda a Bramble Bank, in Gran Bretagna.
Le operazioni di salvataggio hanno costi di decine di milioni di dollari, senza contare che sia le perdite umane che i danni per l’ambiente possono essere pesanti. Secondo Allianz, potrebbero aumentare, con l’incremento di dimensioni, i rischi di dover fronteggiare danni superiori al miliardo di dollari e nuovi casi simili a quello della Costa Concordia.

Ora, Ever given è stata intraversata da un vento di “soli” 40 nodi, nella scala Beaufortvento 8, Burrasca moderata’, mentre nello Stretto si sono rilevati venti di oltre 63 nodi, ‘vento 12, Uragano’ una forza di un ordine totalmente diverso, tale da rendere complessa, se non da impedire di fatto, la navigazione (ma una forza inferiore a quella prevista quale motivo di chiusura del ponte).
Circa le navi di crociera è bene poi notare che, per i dati immediatamente reperibili in questo periodo, quelle che toccano il Porto di Catania (<<Calendario Crociere | Catania (cataniacruiseport.com)>>) hanno altezze massime dell’ordine di 52 m, quindi di 10 metri inferiori della luce che è prevista per il ponte nel caso si abbassi per il massimo peso da traffico, 22 metri meno dell’altezza massima in mezzeria in carenza di traffico.

Un mondo di canali e ponti

Di fatto, mentre i limiti di pescaggio e larghezza godono di una certa elasticità in acque non troppo ristrette, il limite di altezza di solito non viene nemmeno sfruttato al massimo, soprattutto per non trovare limiti tra altri ponti, tra i quali alcuni di quelli di seguito indicati, dai quali una nave più alta vedrebbe precluso il passaggio (v. Chris Baraniuk Why container ships probably won’t get bigger, 5 July 2022).
Tra i ponti che vengono immediatamente alla mente sono la Köhlbrandbrücke, ponte strallato stradale della città tedesca di Amburgo che attraversa il Köhlbrand, un ramo secondario del fiume Elba, 55 m.; il Vincent Thomas Bridge, alto 56 m. dall’acqua, e il Long Beach International Gateway, 62 m., che attraversa il porto di Los Angeles, da tempo in gara con New York per essere, a seconda degli anni, il primo o secondo porto degli USA; era tale il Francis Scott Key Bridge di Baltimora, (all’apertura del porto numero uno degli Stati Uniti per il trasporto di auto e truck, primo anche per il trasporto di macchinari agricoli e per le costruzioni, e per l’arrivo di zucchero e gesso importati, secondo posto per l’esportazione di carbone, nono scalo negli Stati Uniti per i cargo internazionali, con un totale di 52,3 milioni di tonnellate di merci, pari ad un valore di 80,8 milioni di dollari nel 2023) ponte distrutto quest’anno dalla nave Dalì, che, dopo che il comandante e i timonieri ne avevano perduto il controllo, ne ha urtato un pilone (cosa che non potrà accadere nel nostro caso, essendo i piloni posti entro terra); lo è l’Öresundsbron, ovvero il ponte di Öresund, che collega la Danimarca alla Svezia, contenendo il “collegamento stabile” tra Svezia e Danimarca, rafforzando l’integrazione e la centralità della regione, e favorendo l’insediamento di cluster di industrie con forte propensione all’esportazione, la cooperazione tra i due porti di Copenaghen e Malmö iniziata nel 2001, addirittura e ha condotto alla nascita di una nuova governance denominata Copenaghen
Malmö Port
, ha fatto nascere il primo porto bi-nazionale in Europa, che ed è così anche la porta del Mar Baltico, ponte che è al di sopra d’un livello d’acqua normale, ha un’altezza libera di transito navale di 57 metri; il ponte di Normandia nell’estuario della Senna, di 59 m.; il nuovo ponte Theunis in Belgio, situato a nord-est della città di Anversa, a Merksem, dove unisce le sponde del canale Albert, la via d’acqua più importante delle Fiandre che collega le città di Limburgo e Liegi con il porto di Anversa, di 63 m.

Le navi giganti viste nei telegiornali e nei media sono più basse, non superano i 45 m

Per meglio comprendere, ed anzi vedere, quantomeno in foto, quali siano le effettive caratteristiche, e la vera altezza, delle grandissime navi porta container può essere utile ricordare quelle che di recente tutti hanno potuto contemplare in televisione e nei media. La già citata Ever Given, una delle tredici navi portacontainer costruite secondo il progetto Imabari 20000 sviluppato dalla Imabari Shipbuilding (v. sopra le foto2 e 3). La loro lunghezza è di circa 400 m. (il Titanic era di 296 m.), l’altezza col carico è di 39 m.

FOTO 4 DELLA NAVE DALI E DEL RELITTO DEL PONTE FRANCIS SCOTT KEY BRIDGE

Un altro di questi nuovi mostri, meno lungo ma forse leggermente più alto, è la nave Dalì, famosa ormai proprio per aver distrutto il già citato Francis Scott Key Bridge di Baltimora, lunga circa 300 m, che a pieno carico appare di un’altezza dall’acqua di circa 42 m; essa avrebbe avuto 14 m di Franco per uscire dal porto e per passare sotto il ponte che ha invece ha distrutto, alto 56 metri; essa, se dovesse in futuro passare sotto il ponte sullo Stretto, avrebbe 22 m di franco, anche in presenza di massimo traffico sulle corsie stradali
e sulle linee ferroviarie del ponte, con due treni in passaggio.

Le navi da crociera – MSC – il futuro delle navi – il limite di rischio e la dimensione – gli ambientalisti muti

Parzialmente diverse le caratteristiche delle navi da crociera, come il quadro che le riguarda. Mentre anche la quasi totalità di queste non superano i 64 m, ed alcune di 68 metri hanno camini retrattili di 6 metri, tali che l’altezza, il franco navigabile di essi non è di 68 ma di 62 m., effettivamente ne esistono alcune che superano i 72 m di altezza, tra cui alcune di recente costruite per MSC, il gruppo italo-svizzero che nei mesi scorsi ha acquisito, attraverso la controllata Til, la MedCenter Container Terminal del porto di Gioia Tauro ed ha attuato lì un investimento che supera i 120 milioni di euro necessari per aumentare le performance dello scalo, che ha anche consentito la riassunzione di centinaia di portuali che erano stati licenziati.

Ciò spiega e legittima, almeno in parte, la contestazione circa il ponte di chi è direttore dei Rapporti istituzionali per l’Italia del gruppo Msc, presidente di Federlogistica e membro del board di Assarmatori, mentre pone invece una grave perplessità circa gli stessi ambientalisti che qui si stanno battendo contro il ponte, e così l’ambiente.
Questi infatti si erano sempre giustamente opposti in un recente passato alle navi giganti e al loro avvicinarsi alle città storiche e alle stesse coste italiane: il WWF aveva sollevato questioni riguardo all’impatto delle grandi navi, in particolare quelle da crociera, sull’ambiente marino, rilevando soprattutto che queste navi possono causare inquinamento acustico e chimico, che può avere un impatto negativo sulla fauna marina e che il traffico delle navi può contribuire all’erosione delle coste e alla distruzione degli habitat marini; Italia Nostra aveva espresso preoccupazioni riguardo all’impatto delle grandi navi sul patrimonio culturale e ambientale, notando che esse possono causare danni ai siti storici e culturali situati lungo le coste, a causa delle onde create dal loro passaggio e che l’inquinamento causato dalle navi può avere un impatto negativo sulla qualità dell’acqua e sulla biodiversità marina. Entrambe si sono battute perché non entrassero a Venezia e nei porti del litorale laziale.

Ora però non si occupano di questo problema, proprio quando si parla del braccio di mare d’Italia nel quale la navigazione è più difficile, nel quale affacciano due città e tanti paesi costieri che hanno vissuto addirittura l’esperienza di onde giganti derivate da terremoti e ad evacuazioni per timore di onde anomale per l’eruzione dello Stromboli (onde che, naturalmente, non potrebbero nemmeno lambire le basi dei piloni del ponte, poste molto più in alto).

Così, di fatto, chi in Italia afferma di voler tutelare l’ambiente, mentre si batte per evitare quel ponte che eliminerebbe molto dell’inquinamento e dei rischi da traffico navale nello Stretto, pare abbia smesso di preoccuparsi, oltre che dei rischi ora indicate, di quello di un futuro gigantismo navale, ed anzi si esprima dandolo per acquisito e accettato, quasi auspicando si attui proprio qui, proprio in un contesto ambientale nel quale esso porterebbe un grande aumento di rischi e danni ambientali.

Foto di ‘Icon of the Seas’, finora la più grande nave da crociera

How big is too big?

Il gigantismo navale, e l’accettazione di questo in ambienti non idonei a questo, non sono però un futuro necessario, men che mai certo: essi sono anzi sempre più spesso rigettati, o consentiti con rilevanti limiti, sia di dimensione che circa gli ambienti ove navigare o attraccare; infatti stanno quasi dappertutto aumentando i provvedimenti limitativi emanati riguardo a singoli luoghi e spazi, mentre è sempre più frequente tra gli esperti del settore navale, e tra chi effettivamente si preoccupa dell’ambiente, sul serio, in maniera razionale, la domanda <<quanto è grande ‘troppo grande’?>> (how big is ‘too big’?), a partire dall’annotazione che l’incremento dimensionale e di velocita delle navi in ambiti ristretti porta al risultato che diminuisce lo spazio per evitare o risolvere l’errore (“The result is less room for error”), l’aumento dei potenziali danni, che divengono enormi quanto è enorme la nave che li causa.
Conseguentemente, coerentemente, e correttamente, è aumentato e si è diffuso il timore che deriva da questi oggetti mostruosi, giganteschi, di peso enorme, di velocità rilevante e quindi di massa spaventosa, difficilmente gestibile anche in ambiti relativamente facili, di fatto ingestibili in caso di sinistro, che hanno dimostrato di partecipare all’inquinamento, sia con sversamenti che con la caduta di containers, infine con sinistri che, sia pure fortunatamente di rado, possono produrre risultati orrendi e devastanti.
How big is too big? è una domanda che ci si è posto quasi da sempre, spesso in relazione a naufragi: nel mondo delle grandi navi passeggeri quantomeno dal naufragio del transatlantico Titanic, che era stato definito “L’Inaffondabile”, affondato poi coi suoi circa 1500 morti; nel mondo delle petroliere, quantomeno da quando, il 19 febbraio 1967, affondò la Torrey Canyon, all’epoca la più grande petroliera in servizio, tipo Suezmax LR2, la prima capace di trasportare oltre 120.183 tonnellate di petrolio grezzo, che si sono sversate
nell’affondamento. Molti più se la son posta quando si è verificato il disastro della Exxon Valdez, il 24 e 25 marzo 1989, disastro dal quale non per caso nacque l’Oil Pollution Act del 1990 che richiedeva alla Guardia Costiera Usa di rafforzare i suoi regolamenti sulle petroliere e per gli armatori e gli operatori di navi cisterna, disastro che fu ritenuto fenomeno, e notizia, tra i 20 più importanti del decennio, se non per un’intera generazione.

La domanda si è più di recente riproposta in varie occasioni in relazione alle grandi navi da crociera, da ultimo quando è stata varata quella che all’epoca era la più grande nave da crociera, la Icon of the Seas, di proprietà del gruppo Royal Caribbean, costata 2 miliardi di dollari, lunga 365 metri, con 20 ponti, 7 piscine, 6 scivoli d’acqua , oltre 40 ristoranti, bar e saloni, che può ospitare un massimo di 7.600 passeggeri, che è previsto effettui un viaggio di sette giorni ai Caraibi per fare il giro delle isole. La nave infatti è stata a lungo sotto accusa per il suo impatto negativo sull’ambiente. La compagnia l’ha presentata come nave di ultima generazione, pensata per ridurre l’impatto ambientale, ma da più parti è stato ribattuto che le crociere sono tra i modi di viaggiare più inquinanti, e che The Icon, e le navi analoghe, inquinerebbero otto volte più di una nave da crociera normale

Troppo grandi e invasive per Venezia o per tutte le città storiche o per tutti gli ambiti da tutelare?

In Italia, il dibattito sulle grandi navi, in particolare quelle da crociera, e il loro impatto sull’ambiente e sulle città si è concentrato principalmente su Venezia, una città con un delicato ecosistema lagunare e un patrimonio storico e culturale di inestimabile valore.
Italia Nostra a suo tempo era talmente preoccupata dell’impatto delle grandi navi sulla città, riguardo all’inquinamento e all’erosione causati dalle grandi navi, che ha presentato una petizione al Parlamento europeo per la tutela della Laguna di Venezia, chiesto all’Unesco di iscrivere Venezia tra i siti a rischio e che il traffico delle navi superiori alle 30mila tonnellate avrebbe dovuto essere estromesso non solo dal Bacino di San Marco ma da tuta la Laguna.

Anche per queste pressioni e per quelle ricevuta poi dall’Unesco, a partire dal 1° agosto 2021 è entrato in vigore un divieto che impedisce di transitare davanti a San Marco e lungo il Canale della Giudecca alle grandi navi che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:

  1. Stazza lorda superiore a 25.000 tonnellate
  2. Lunghezza dello scafo al galleggiamento superiore a 180 metri
  3. Tiraggio aereo superiore a 35 metri
  4. Impiego di combustibile in manovra con contenuto di zolfo uguale o superiore allo 0,1%

Questo provvedimento è stato accolto come un passo importante per la tutela del sistema lagunare veneziano. Dopo di ciò altri sindaci di altre città in particolare di Barcellona, Amsterdam, Santorini e Dubrovnik ,hanno sollevato dubbi circa l’opportunità dell’ingresso nella rispettiva città, o nell’immediata vicinanza, di navi così grandi.
Analoghe critiche sono state poi sollevate anche circa ambiti meno complessi e fragili rispetto al particolarissimo caso di Venezia dagli ambientalisti, in particolare da quelli italiani in relazione al litorale laziale. In questa occasione si è anche rilevato come a fronte del danno ambientale non si oppongano neanche vantaggi economici nemmeno lontanamente paragonabili, dal momento che
per quanto riguarda le grandi navi, nulla delle loro scorte di cambusa è acquisito in loco, poiché, per la natura stessa di una tal intrapresa turistica, ai rifornimenti si provvede altrove.  Nemmeno gli allacci alla rete elettrica attingono alla terraferma, poiché più economico per l’intrapresa commerciale stessa, è il mantener attivi i generatori di bordo. Il frastuono subacqueo che ne deriva è
documentatamente drammatico, come ogni Capitaneria di Porto ben conosce, e si ripercuote a distanza fin a raggiungere le costruzioni sui litorali adiacenti. Se poi si aggiunge al computo dell’inquinamento acustico sottomarino l’effetto dei fumi di scarico di queste operazioni, è difficile immaginar una forma di annientamento più radicale del sistema ambientale litoraneo, con effetti devastanti sul patrimonio ittico. 

Entrare al porto di Gioia Tauro aggirando la Sicilia comunque non costerebbe troppo tempo né denaro e sarebbe una scelta ambientalmente più corretta

Il Ponte è necessario peraltro proprio per una navigazione e un uso dei porti sicuri ed efficienti. Il passaggio dello Stretto già si svolge in maniera complessa per le difficoltà di un traffico sempre maggiore, e in mancanza del ponte a breve diverrebbe molto peggio, col continuo passaggio di traghetti, che comunque non potrebbero soddisfare le esigenze nemmeno solo dei turisti, se questi fossero attratti in Sicilia anche solo nello stesso numero di quelli che vanno in Toscana, come invece potrà fare il ponte.
Secondo le cifre riportate nel marzo 2022 dal Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto al Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, intervenuto all’evento, tra i Porti di Messina, Villa San Giovanni e Reggio Calabria transitano ogni anno oltre 10.000.000 di passeggeri, sia a piedi che a bordo di circa 1.800.000 autovetture e 400.000 mezzi pesanti ai quali si aggiungono più di 1.500.000 di passeggeri e 800.000 tra mezzi pesanti ed autovetture sulle tratte Tremestieri-Villa San Giovanni-Reggio Calabria. Per tutti questi trasferimenti vengono effettuate circa 100.000 corse tra traghetti, navi ferroviarie
e mezzi veloci/aliscafi con una media giornaliera di una partenza di una nave ogni 5 minuti fra i vari porti. Mediamente, quindi, al netto del traffico merci, sullo Stretto di Messina ogni giorno transitano non meno di 20.000 passeggeri di cui circa un quarto pendolari che si spostano quotidianamente soprattutto per lavoro tra le provincie di Messina e Reggio Calabria. Nei periodi estivi, in corrispondenza ai massicci spostamenti dei turisti verso la Sicilia, i flussi di passeggeri e mezzi possono anche raddoppiare.

Dal punto di vista trasportistico, lo Stretto di Messina è un nodo di rilevanza nazionale che registra un traffico di mezzi pesanti
paragonabile a quello del traforo del Frejus e superiore a quello del  Monte Bianco. Il numero delle auto e mezzi sotto le 3,5 tonnellate è addirittura superiore a quello che attraversa il traforo del Monte Bianco. Nell’ultimo anno sono aumentati anche i collegamenti ferroviari Nord/Sud sulla linea tirrenica, con un conseguente aumento dei collegamenti operati con i mezzi veloci tra Villa San Giovanni e Messina che presto riguarderà anche quelli con le Isole Eolie.

Un traffico molto intenso dunque, che aumenterà sempre più con l’incremento della produzione e del turismo in Sicilia: nel 2023 nella regione l’incremento industriale è stato del 3%, mentre sono state stato registrate 16,4 milioni di presenze, un incremento del 10,8% rispetto al 2022 con flussi turistici in costante crescita, con un incremento delle presenze turistiche del 5,8% nei primi nove mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. E ulteriori incrementi del traffico potranno provenire dallo svilupo e dal migliore
collegamento della Sicilia col continente africano, che  rappresenta il 24% della superficie agricola utilizzabile a livello mondiale, ma in termini di valore ha avuto finora una produzione limitata al 6%, e nel quale dal 1980 l’attività industriale è più che raddoppiata in termini reali, così che dal 2000 il valore aggiunto dell’industria è cresciuto di oltre il 4% all’anno.

Particolarmente pericoloso anche perché quello tra le due sponde si svolge fra est ed ovest e viceversa, in maniera ortogonale rispetto al traffico commerciale che si svolge da sud a nord e viceversa. Cosicché l’incrocio tra le navi che navigano da nord a sud o viceversa e quelle che navigano tra est ed ovest e viceversa provoca un rischio maggiore rispetto a quello che può creare, in situazioni ordinarie, una navigazione in linee parallele. Ed infatti diversi sono gli incidenti accaduti, dei quali la stampa pubblica quasi solo quelli che producono la morte 16 , mentre raramente rammenta gli altri, anche se molto rischiosi, come quelli che hanno coinvolto navi militari a propulsione nucleare o che trasportavano testate atomiche.
Attualmente il traffico è regolato da regole di navigazione locali, che comprendono anche l’utilizzo del pilotaggio locale e per periodi lunghi dell’anno un limite di velocità inferiore a 16 nodi (nel canale di Suez 8,4 nodi), rallentamento pesante soprattutto per alcune navi che navigano a più di 22 nodi (Icon of the Seas a 22,14, Ever Given a 28,5) ed esso, già da sempre pericoloso, lo diverrebbe ancor più, con potenziali rischi sempre più gravi, se aumentasse il traffico di per navi giganti, ‘ultra large’, ‘troppo grandi’, con un’enorme
massa e troppo alte rispetto ai venti locali.

Una scelta non troppo svantaggiosa per queste, per le linee di navigazione che operano sulle lunghe distanze potrebbe quindi essere quella di aggirare lo Stretto, circumnavigare la Sicilia, senza rinunciare per questo all’utilizzo del porto di Gioia Tauro, da dove eventualmente organizzare gite a Reggio Calabria, alle isole Eolie, a Messina, a Taormina e a Catania ed ai loro Parchi, Musei archeologici e Gallerie.
Esse lo potrebbero fare, senza dover allungare eccessivamente la navigazione o aumentare eccessivamente l’utilizzo di carburante: se anziché seguire i 217 km della costa orientale della Sicilia da sud puntando direttamente a nord per Porto Gioia Tauro o ad esempio pervenire direttamente a questo provenendo da porto Suez, si aggira la punta occidentale dell’isola, si allunga di meno di 300 miglia marine la navigazione, cosicché, se si proceda ad una velocità, normale per una grande nave, di circa 20 nodi (37 kmh), si aumenterebbe la navigazione al massimo di circa 15 ORE (in realtà un poco meno, anche perché così non si dovrebbe subire la perdita di tempo e procedere alla minore velocità per ho rispettare le regole dello Stretto); ciò, se lo facesse una ULCV in viaggio da Shanghai a Gioia Tauro, percorso il cui tempo di navigazione (Transit Time) attuale minimo è indicato in 27 GIORNI (DB Schenker), il massimo in 41 GIORNI (MSC), l’aumento, inferiore ad un giorno, sarebbe meno del 3 % della durata media della navigazione. La differenza sarebbe quindi così limitata che chi sostiene di difendere l’ambiente dovrebbe semmai promuovere comunque questa scelta, così da diminuire i rischi e i danni, anche ambientali, che la navigazione di questi colossi comporta in ambiti per loro pericolosamente limitati.

Nel caso che una nave fosse troppo alta per poter passare sotto il ponte se volesse comunque attraccare a Gioia Tauro, eventualmente anche per continuare la navigazione lungo la costa italiana, venendo da sud dunque potrebbe accettare le poche ore di navigazione maggiori necessarie per circumnavigare la Sicilia rispetto alla rotta attraverso lo Stretto; se invece non volesse raggiungere Gioia Tauro, ma scaricare merci per l’Italia o il centro Europa, potrebbe attaccare ad Augusta, che gode di un pescaggio medio di 14–18 m, con
punti fino a 22 m, di 16,5 m nel terminal container, o, se essa nave avesse un pescaggio minore, anche agli altri porti siciliani al porto di Catania o al porto di Palermo; da lì grazie al Ponte potrà per inviare poi le merci, o i container relativi verso l’Europa più velocemente, attraverso la connessione ferroviaria, che a quel punto godrà di treni ad alta capacità.

IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA E REGGIO CALABRIA NON PONE OSTACOLI NÈ CAUSA DANNI AL PORTO DI GIOIA TAURO – LE POSSIBILITÀ CHE DARANNO TRENI AD ALTA CAPACITÀ DALLA SICILIA A GIOIA TAURO E DA GIOIA TAURO PER LA SICILIA AUMENTERANNO LA POTENZIALITÀ DEL PORTO E DEL SISTEMA PORTUALE DEL SUD E LA SICILIA, LA CALABRIA E IL SUD TUTTO DIVERRANNO COSÌ HUB DEL MEDITERRANEO.

1 Le opere stradali e ferroviarie di collegamento del Ponte al territorio comprendono 40 km di raccordi viari e ferroviari (circa l’80% sviluppati in galleria) che collegheranno, dal lato Calabria, l’autostrada del Mediterraneo (A2) e la stazione FS di Villa San Giovanni e, dal lato Sicilia, le autostrade Messina-Catania (A18) e Messina-Palermo (A20) nonché la nuova stazione FS di Messina2

2 È in costruzione la linea ferroviaria ad alta capacità Palermo-Catania-Messina, un tracciato nuovo e a doppio binario che avvicinerà le tre città più importanti dell’Isola come mai avvenuto finora. Senza il Ponte l’opera costata 14 miliardi rischia di rimanere come un circuito ovale senza collegamenti alla rete nazionale e quindi europea, prevista nell’ormai famoso corridoio che dalla Scandinavia giunge appunto in Sicilia. Andrea Castorina, I problemi risolti dal ponte sullo stretto di Messina (today.it) 13 maggio 2024.

3 Il 16 maggio è stata comunicata manifestazione “NO PONTE”, secondo quanto riportato in CentroSud 24 così motivata dagli organizzatori:
«Nel momento in cui emerge ogni giorno di più l’insostenibilità economica, ingegneristica, politica e ambientale di questo assurdo progetto, che rischia di distruggere l’ecosistema dello Stretto e il tessuto sociale che gli sorge intorno, appare ancora più decisivo manifestare pubblicamente la volontà popolare della cittadinanza dello Stretto contro la realizzazione dell’opera. Mentre l’autonomia differenziata traduce in legge dello Stato le diseguaglianze storiche tra nord e sud Italia, il progetto del Ponte equivale a un’aggressione anti-storica e rapace contro i nostri territori destinata al profitto di pochi, come evidenziato dalle cronache di questi giorni. Per questo è fondamentale ribadire un No all’opera che si accompagni, come sempre nelle rivendicazioni della rete No Ponte, a diversi Sì alle reali priorità per lo sviluppo di Calabria, Sicilia e Meridione d’Italia: Sì alla Sanità – pubblica, efficace, universale; Sì alle infrastrutture
come strade e ferrovie, senza dimenticare le possibilità di potenziamento dell’attraversamento dinamico nello Stretto;
Sì a serie politiche del lavoro – e non ai proclami fasulli del ministro Salvini; Sì a interventi contro il dissesto idrogeologico; Sì ai servizi che rendano sostenibile abitare e rilanciare questa terra
».
Sul sito della Rete NO-PONTE è pubblicato il manifesto “Non è più il tempo di aspettare“, nel quale vengono spiegate le ragioni della manifestazione.
«Dopo decenni di depredazione del meridione e della Calabria in cui è stata smantellata la sanità, i servizi sono stati ridotti al di sotto del livello di sopravvivenza e l’economia è stata impoverita determinando l’emigrazione forzata di intere generazioni, adesso vorrebbero realizzare un’opera priva di qualsiasi utilità pubblica». Inizia così il manifesto, con una critica allo stato di abbandono del Sud e di un ponte presentato come la soluzione al problema. Ma che invece – stando a quanto si legge – sarebbe solo uno scempio del territorio e di dubbia utilità.
Chi scrive ritiene che tutto quanto così affermato circa il Ponte (ma anche su altro) sia infondato, in ampia parte privo in realtà di un qualsiasi senso. Rinvio a quanto già posto nello ‘SPECIALE PONTE’ di CentroSud24

4 Eccezionale la contestazione, tra quelle pubblicate dal partito democratico, con la firma del capogruppo e di un parlamentare siciliano, con la quale si protesta e si chiede perché il ponte inciderebbe sul fenomeno, mai dimostrato, della cosiddetta Fata Morgana, ovvero la visione riflessione dell’immagine della città di Messina, che, proiettata attraverso il vapore si dovrebbe vedere a Reggio Calabria come nel mare: Si segnala, a proposito della violazione di principi del DNSH ed a titolo di esempio, che non è stato preso in alcuna considerazione il fenomeno della “Fata Morgana” frequentemente osservato nello stretto di Messina e tramandato dai Normanni e che dà il nome ad altri fenomeni consimili nel mondo. Tale evento si verifica quando i raggi di luce sono incurvati dal passaggio attraverso
strati d’aria a temperature diverse, in condizioni di inversione termica. Tale stratificazione potrebbe venire irrimediabilmente compromessa dall’alterazione della circolazione d’aria legata agli effetti aereo dinamici del ponte, con conseguenze pregiudizievoli anche sugli effetti ricreativi e per l’indotto economico. Mentre non conosco nessun abitante di Reggio Calabria che lo abbia mai visto, a partire dai miei non giovanissimi parenti, semmai questo dovrebbe accadere 15 km prima del ponte; vorrei comprendere poi come il capogruppo del PD (che mi pare sia di Como) abbia rilevato e calcolati gli effetti ricreativi e per l’indotto economico di un fenomeno inesistente. Con DNSH si indica principio Do No Significant Harm, che prevede che gli interventi previsti dai PNRR nazionali non arrechino nessun danno significativo all’ambiente, quindi, nel caso alla povera Fata Morgana.

5 Le opere stradali e ferroviarie di collegamento del Ponte al territorio comprendono 40 km di raccordi viari e ferroviari (circa l’80% sviluppati in galleria) che collegheranno, dal lato Calabria, l’autostrada del Mediterraneo (A2) e la stazione FS di Villa San Giovanni e, dal lato Sicilia, le autostrade Messina-Catania (A18) e Messina-Palermo (A20) nonché la nuova stazione FS di Messina2

6 Questo effetto viene qui rammentato soprattutto per evidenziare la irrazionalità e contraddittorietà degli ambientalisti
estremi, che in genere agiscono accettando di rendere difficile e povera la vita di tutti pur di ottenere una minima riduzione dello CO2, anche rispetto ai loro stessi errati postulati e criteri. Non volendo, naturalmente, per questo ignorare, al contrario di loro, l’irrilevanza sostanziale di questi dati rispetto ai problemi dell’ambiente, anche ove si seguisse la antiscientifica leggenda nera del CO2. Circa le mie opinioni al riguardo mi permetto di rinviare al mio ‘L’Europa di ultima generazione”.

7 Purtroppo, invece, effettivamente danneggiato, rispetto ai porti mediterranei non europei, dalla normativa europea: La
normativa europea che è entrata in vigore quest’anno, è il simbolo della contraddizione e del fallimento di una politica trasportistica pensata a livello globale – – Le compagnie stanno rinnovando flotte per andare verso la transizione ma i percorsi sono complessi. E l’Europa invece di investire e sostenere questi processi ha deciso di tassare il trasporto marittimo. Oggi se una nave parte dalla Cina e arriva in un porto europeo la tassazione applicata sarà del 100%, vuol dire decine di milioni per ogni carico che si riversano sul costo complessivo. Se invece la stessa nave approda sulle sponde meridionali del Mediterraneo o in Inghilterra non paga nulla, anche se inquina uguale. Il risultato? Costi aggiuntivi e nessun beneficio con il paradosso di una norma entrata in vigore e non sospesa in un momento di blocco del Canale di Suez. Eppure solo in Italia resteranno 3 o 4 miliardi di tassazione che dovrebbero essere investiti nel
green ma senza paralizzare l’economia attuale. Ma c’è un altro paradosso. L’energia per alimentare le navi in porto e puntare sull’elettrificazione è prodotta da carburanti tradizionali». Luigi Merlo, presidente di Federlogistica- Conftrasporto, nell’intervista a Matteo Basile, Sostenibilità sì, ma non ad ogni costo, Il Giornale, 16- 5- 2024

Le stesse normative europee danneggiano anche le ferrovie «Siamo in un guaio, e in queste situazioni si rischia di farsi prendere dal panico e di fare peggio. Il trasporto ferroviario è tra le vittime di questo processo, perché le ferrovie, è provato, incidono per meno dell’1% delle emissioni in Italia. Il nostro obiettivo è ridurre del 50% le emissioni climalteranti entro il 2030 ma come Ferrovie, a conferma del nostro senso di responsabilità, siamo già avanti: il 93% dei nostri mezzi infatti si muove in elettrico. In ogni caso serve collaborazione, senza mettere in contrasto mezzi che non sono in competizione tra loro per ottimizzare il trasporto». Mario Tartaglia, responsabile Research Centre del Gruppo FS, ivi.

V. il mio L’Europa ed i porti del Mediterraneo: un rapporto controverso


8 Per l’Aeroporto di Catania è in corso un piano di sviluppo che prevede investimenti sull’aerostazione di almeno 600 milioni di euro per completare un ampliamento su più fronti entro il 2030. Questi investimenti includono una nuova aerostazione, un nuovo terminal B, l’allargamento dell’attuale terminal A e la realizzazione di una nuova pista. Inoltre, è previsto l’ampliamento del terminal passeggeri, l’attuale terminal B, ovvero il Morandi verrà ampliato e completamente trasformato.
Per quanto riguarda l’Aeroporto di Comiso, è stata annunciata la riattivazione dell’attività progettuale per l’area cargo e
la continuità territoriale. Sono in corso i lavori per aumentare a 11-10 m. la profondità del porto di Trapani, che finiranno nell’estate del
prossimo anno.

9 Tale franco, che rispetta pertanto lo standard mondiale di 65 metri, è in grado di garantire un agile passaggio a tutte le
imbarcazioni che transitano oggi nel mediterraneo. Come noto le uniche navi che hanno un’altezza f.t. potenzialmente critica per il passaggio sotto al ponte sono quelle da crociera di ultima generazione, che sono tuttavia dotate di ciminiere e antenne retraibili che consentono di ridurre l’altezza complessiva sotto i 65m e quindi di transitare all’interno del canale di navigazione del ponte sullo stretto di Messina senza limitazioni del traffico marittimo. Oggi le navi più alte al mondo sono un numero esiguo, e sono quelle della Royal Caribbean, che hanno un’altezza f.t. tra i 65 ed i 72 metri che utilizzano il sistema di ciminiere e antenne retraibili sopra indicato al fine di consentire il transito di queste navi sotto i ponti più importanti al mondo (Suez, Panama, passaggio del bosforo, , ecc.). passerebbero
quindi anche sotto il ponte sullo stretto di Messina.

10 Le dimensioni di queste navi sono semmai tali che potrebbero creare problemi di pescaggio a tutti i porti italiani, incluso il porto di Gioia Tauro, fatta forse eccezione per Augusta e Trieste. Ever Ace ha pescaggio di 17 m, COSCO Shipping Universe ha un pescaggio di 16 metri, Ever given di 15 m.; cosicché mentre per loro non sarebbe un problema il passaggio sotto il ponte lo potrebbero essere la profondità del porto, fors’anche la dimensione e forma degli spazi di ingresso, di tutte le strutture portuale, i sistemi di movimento ed approdo nei porti, la grandezza e la stabilità delle gru, la dimensione e organizzazione. A Gioia Tauro il 9 gennaio 2023 si è incagliata la nave porta container Msc Elaine lunga 340 m con pescaggio di 14 m, il massimo per esempio consentito a Genova, solo al terminal Sech, 6 m in meno del limite previsto per le “Suezmax”.


11 La distanza di arresto di una nave è funzione della massa della nave stessa, della velocità al momento dell’inizio dell’arresto, della resistenza dell’acqua, della forza di spinta contraria e il tempo per l’inversione delle eliche (da attuare considerando il rischio di cavazione). Adottando un modello (troppo) semplificato, che non tiene conto di tutti i fattori che possono influenzare la distanza di arresto di una nave, come le condizioni del mare, la forma dello scafo, e così via, la formula per calcolare può essere espressa come segue: S=A+R+C
Dove
S è la distanza di arresto, in lunghezze di nave.
A è un coefficiente che dipende dalla massa della nave divisa per il suo coefficiente di resistenza.
R è un coefficiente che dipende dal rapporto tra la resistenza della nave immediatamente prima della manovra
di arresto, alla spinta contraria quando la nave è ferma in acqua.
C è un coefficiente che dipende dal prodotto del tempo impiegato per raggiungere la spinta contraria e la
velocità iniziale della nave.

12 Fenomeni riguardanti la navigazione delle navi in relazione alla distanza dal fondale, alla eventuali banchine in redazione, alla velocità .Quando una unità transita su di un basso fondale, con uno spazio sotto la chiglia limitato, il flusso di acqua subisce una accelerazione e, per effetto della legge di Bernoulli, a seconda del grado di finezza della nave la prua o viceversa la poppa vengono “ risucchiate” verso il basso (squat); analogo effetto di attrazione produce all’avvicinarsi veloce della nave rispetto a una banchina o un comunque ad una sponda (bank)

13 Italia Nostra Litorale Romano e WWF Litorale laziale dicono no grandi navi a Fiumicino: il parere integrale del
prof. Francesco Spada, 17 giugno 2021


14 Rosi Frost, Navi da crociera: le nuove misure restrittive delle città europee (euronews.com)

15 Come la tragedia avvenuta il 15 gennaio 2007, quando l’aliscafo Segesta Jet, di ritorno nel porto di Messina con a bordo 154 pendolari, è entrato in collisione con il mercantile “Susan Borchard”, una nave battente bandiera d’ Antigua, che ha causato la morte di quattro membri dell’equipaggio dell’aliscafo, l comandante, il direttore di
macchina ed altri due, ed 88 feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.

16 V. Lo Stretto di Messina ad altissimo rischio di incidenti militari 27 GENNAIO 2007

17 Anche per lo spazio e il tempo necessari per queste per diminuire la velocità a meno di 16 nodi, e poi per riportare la
velocità a quella di crociera

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