A Casali del Manco “Il viaggio come ricerca di sé da Ulisse ai naufraghi del nostro tempo”

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Continuano gli incontri culturali presso la Biblioteca Gullo a Casali del Manco (CS). Il terzo appuntamento si è tenuto il 18 aprile. I precedenti incontri si sono svolti il 23 febbraio con il Maestro Granata ed il 26 marzo sul “La forza delle Donne”. Gli incontri sono promossi da ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana), Comune di Casali del Manco e l’associazione TECA

Di Anna Maria Ventura

Interessante e denso di contenuti e sollecitazioni l’incontro culturale che si è tenuto giovedì 18 Aprile nella storica cornice della Biblioteca Gullo a Macchia di Casali del Manco. In questa prestigiosa sede si è svolta la terza delle “Conversazioni a Macchia“, che ha avuto come tema “Il viaggio come ricerca di sé da Ulisse ai naufraghi del nostro tempo“. A relazionare la Prof. ssa Anna Maria Ventura e il Prof. Romeo Bufalo.

Anna De Vincenti, Romeo Bufalo e Anna Maria Ventura

La Dott. ssa Antonella Bongarzone, Direttrice della Biblioteca Gullo, con professionalità e competenza ha coordinato l’incontro e il dibattito, che ne è seguito, senza far mancare le sue profonde riflessioni. Molto apprezzata la presenza della Sindaca di Casali del Manco Dott. ssa Francesca Pisani, che ha espresso parole di elogio per gli eventi che si svolgono nella prestigiosa Biblioteca Gullo, come in altri contesti culturali del Comune, fucina di sempre nuove e importanti Iniziative. Nella “Conversazione” si è parlato dell’affascinante tema del viaggio e delle sue molteplici implicazioni. Il Prof Bufalo ha evidenziato gli aspetti filosofici, la Prof.ssa Ventura ha tracciato un excursus letterario da Ulisse, l’eroe omerico dll’Odissea, il viaggiatore per eccellenza, ai naufraghi del nostro tempo. Quell’umanità migrante e dolente che per bussare alle nostre porte, attraversa il Mediterraneo su barconi fatiscenti e molto spesso trova la morte in questo mare. Nel corso della conversazione è emerso che il viaggio attraverso il mondo è per l’uomo da sempre anche un viaggio simbolico: ovunque vada è la propria interiorità che sta esplorando, è solo viaggiando che darà voce ad una parte di sé che chiede di venir fuori. Colui che viaggia ha a bordo solo se stesso: portiamo con noi solo la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza, perché da sé stessi non si può fuggire.
Viaggiare significa, allora, sconfinare nell’insolito, nel non conosciuto, perdere i punti di riferimento, uscire dal tempo e dallo spazio della quotidianità alla ricerca di un infinito.
La metafora del viaggio come ricerca di sé e conoscenza ha richiamato immediatamente la figura dell’eroe classico Ulisse, protagonista dell’Odissea di Omero, che si può definire il modello più significativo della narrazione di viaggio, che sia peregrinazione, tensione verso l’ignoto ed, insieme ricerca di sé. Da Omero l’excursus letterario venuto fuori dalla conversazione ha attraversato i secoli fino al racconto delle storie dei naufraghi del nostro tempo.
Sono storie di rifugiati politici, di idee, di religioni ed etnie dichiarate fuorilegge, di persone perseguitate, discriminate, di esodi forzati e senza speranza, di traversate che spesso si trasformano in stragi, di paesi dove l’accoglienza è ancora tutta da mettere a punto.
Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca; i resti di un bambino che veste ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Sono corpi delle infinite vittime del Mediterraneo, morti nel tentativo di arrivare nel nostro paese su rottami di barche, che raccontano di come si può “morire di speranza”. A molte di queste vittime è stata negata anche l’identità. L’emergenza umanitaria di migranti che attraversano il Mediterraneo ha restituito alle spiagge europee decine di migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali non sono mai stati identificati. C’è un libro che racconta, attraverso il vissuto di un medico legale, il tentativo di un paese, l’Italia, di dare un nome a queste vittime dimenticate da tutti, e come questi corpi, più eloquenti dei vivi, testimonino la violenza e la disperazione del nostro tempo. Il libro s’intitola Naufraghi senza volto – di Cristina Cattaneo – Raffaello Cortina Editore.
Il 2023 si è aperto con una terribile strage del mare: il naufragio di Cutro, costato la vita a 94 persone, ma questa tragedia non ha insegnato nulla.
Infatti sono 2.571 in totale i migranti morti nel Mediterraneo nel 2023 secondo i dati OIM e già molte centinaia nel 2024, a dimostrazione del fatto che il tratto di mare del Mediterraneo Centrale, di fronte alle nostre coste, è la rotta più pericolosa e mortale. Senza contare anche i cosiddetti naufragi fantasma, morti invisibili di cui non si ha notizia.


«Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi».

(Papa Francesco). Infine dalla “conversazione” in Biblioteca Gullo, diventata dibattito, cui ha partecipato anche il pubblico, è emersa la riflessione che anche noi, che stiamo perdendo certezze e ideali, siamo naufraghi del nostro tempo, in mari procellosi. Due terribili guerre, una nel cuore dell’Europa, l’altra in Medio oriente, per giorni e notti, senza fine, continuano a seminare, ormai da tempo, stragi e violenza sovrumana. Non possiamo rimanere indifferenti. La sofferenza ci attanaglia e fa crescere le nostre incertezze e fragilità. Ci sentiamo impotenti e paradossalmente affiora il bisogno di cercare un altrove, dove placare le ansie che derivano da un presente infuocato. Ed ecco affiorare il desiderio del viaggio, come ricerca di un luogo altro e come ricerca di un “sé” che si teme di perdere nella contingenza del martoriato presente.
Ce la faremo a trovare un approdo? A riappropriarci del nostro mondo, di noi stessi e della nostra identità? Sono state le domande. Mai come in questo drammatico frangente storico si corre il terribile rischio di rinchiudersi nella propria vita, nella propria esistenza, nel proprio microcosmo verso un futuro da monade, dove ciascuno pensa a sé, dove ognuno si “anestetizza” rispetto al resto del mondo. “Ma il futuro poggia sulle spalle di chi coltiva la speranza in un mondo migliore, quando quello in cui vive è vacillante e fallace”. Questa è stata la risposta unanime.
Ed è vero.

Solo aderendo ad una visione inclusiva dell’umanità che porta con sé, sempre e comunque, i germogli di una prossima primavera, i vari volti del dolore potranno ricomporsi in un autentico rapporto di pace, solidarietà e fratellanza fra gli uomini di ogni parte del mondo, in modo da elaborare sempre e insieme ipotesi percorribili di risposta agli interrogativi “brucianti” della vita attuale.
La pandemia, le guerre, le infinite notti senza luce del nostro tempo hanno scosso il nostro legame sociale, generando paura ed angoscia. Ma dalla condizione di rischio e vulnerabilità in cui ci troviamo può nascere una società più forte, libera e capace di cooperare. Ci troveremo a ricostruire, ma le macerie le avremo dentro, mai alle spalle. Il compito di chi fa cultura è iniziare subito a immaginare un futuro che sappia di libertà. La libertà è una sfida complessa e quotidiana, che non riguarda mai solo l’individuo, ma ogni relazione che prende forma negli ordini sociali, culturali e politici. Ma la libertà va allenata, è un esercizio costante di responsabilità e condivisione.
Lasciamoci stupire dalla disarmante essenza della speranza in un mondo migliore, in una umanità più solidale e accogliente, più in sintonia con la terra che l’ha generata, pur nella contemplazione della dolorosa realtà della condizione umana. La metafora del viaggio come cammino della vita si rivela in tutta la sua efficacia e significatività. Quel viaggio che ciascuno può ritrovare dentro di sé, che conduce a quelle mete cui tutti aspiriamo: pace, libertà, giustizia, uguaglianza, fratellanza.

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