Irlanda, bocciati i referendum per rendere la Costituzione meno sessista

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Immagine di freepik

Nella giornata dell’8 marzo, i cittadini aventi diritto di voto in Irlanda sono stati chiamati per esprimersi in merito a due diversi referendum costituzionali. Con il primo, i cittadini e le cittadine doveva pronunciarsi favorevoli o contrari all’estensione del concetto di famiglia anche alle coppie e alle relazioni durature al di fuori del matrimonio così da garantire pari diritti e tutele dal punto di vista legale.

Con il secondo voto, ai cittadini è stato chiesto di decidere sull’eliminazione o meno della così detta clausola “women in the home”, ovvero “donne in casa”, secondo cui il bene comune dello stato si fonda sulla vita domestica delle donne.

Esito degli scrutini negativo, il popolo dice No al cambiamento

A scrutinio completato, entrambi i referendum di revisione costituzionale sono stati bocciati con circa il 70% di voti contrari.

Difatti, nei risultati finali annunciati nella sera di sabato 9 marzo, l’emendamento per cambiare la definizione costituzionale di famiglia è stato respinto dal 67,7% degli elettori, mentre il secondo emendamento con il 73,9% di voti contrari.

Gli esperti nazionali ed esteri hanno definito tale risultato come “la più grande sconfitta di un emendamento nella storia costituzionale del Paese”.

Varadkar ammette la sconfitta: “Non siamo riusciti ad attuare il cambiamento”

“Il governo accetterà il risultato” ha dichiarato il premier Leo Varadkar prendendo atto della sconfitta.

Varadkar, conosciuto principalmente per essere il primo capo di governo omosessuale dell’Irlanda, fece fin da subito sua e del suo governo la battaglia per ridefinire i principi sociali della Costituzione irlandese non in linea con la società moderna. “Era nostra responsabilità convincere la maggioranza delle persone a votare ‘sì’ e chiaramente non siamo riusciti a farlo”, ha ammesso il capo di governo. Non è un segreto che il governo di Varadkar abbia avuto notevoli difficoltà ad attuare tale cambiamento; molte di esse sono state in merito alla definizione di “altre relazioni durature” all’interno di uno degli emendamenti, aumentando i timori dei partiti conservatori.

Tempi troppo brevi e troppa fiducia in un “esito scontato”?

Nei mesi precedenti alla votazione, il governo era alle prese con numerosi dibatti interni sulla effettiva natura e stesura dei due referendum. In primo momento, l’esecutivo guidato da Varadkar aveva rifiutato di modificare la sezione “donne in casa”, a lungo criticata. Tuttavia, il primo ministro Varadkar preferì non rallentare l’iter procedurale, portando ad approvare i testi referendari da parte del parlamento in meno di un mese, con solo poche ore di dibattito e nessun esame dettagliato da parte di alcuna commissione. Infine, il voto è stato programmato in concomitanza con la Giornata internazionale della donna nel tentativo di avere un maggiore coinvolgimento. Tuttavia, nonostante i loro sforzi, le forze governative non sono riuscite ad attuare il cambiamento sperato. Il fondamento legale dello stato irlandese continuerà a dichiarare il matrimonio un requisito per qualsiasi famiglia e a ridurre il valore delle donne per la società al mero adempimento dei “doveri in casa”.

Nozioni di un’epoca passata, in netto contrasto con la realtà dell’Irlanda di oggi, dove due quinti dei bambini nascono fuori dal matrimonio e la maggior parte delle donne lavora fuori casa.

La dichiarazione più critica è stata quella di Laura Cahillane, professoressa associata presso la University of Limerick School of Law dichiarando che “sembrava che ci fosse poco interesse da parte del governo ad ascoltare le preoccupazioni sulla formulazione, e forse un po’ di arroganza nel credere che gli elettori si sarebbero lasciati trasportare da un’ondata di femminismo nella Giornata internazionale della donna e avrebbero semplicemente approvato questi due referendum”[..]”Si è vista pochissima campagna sul fronte del ‘sì’ e pochissimi sforzi per rassicurare la gente su tutte queste preoccupazioni che sorgono dal lato del ‘no. Quando le persone sono confuse, è più probabile che rifiutino il cambiamento”.

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