Calderoli condannato a sette mesi: prossime le dimissioni?

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Il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli è stato condannato a sette mesi dal Tribunale di Bergamo nel procedimento per diffamazione, aggravata dalla matrice razziale, nei confronti dell’ex ministra dell’Integrazione Cecile Kyenge.

La parola di troppo di Calderoli

La vicenda risale al 13 luglio 2013, quando l’esponente della Lega, ancora non ministro, diede dell’orango alla ministra del Pd, alla festa della Lega di Treviglio.

L’accusa, Kyenge, sporta non dalla ministra Kyenge, fu quella di diffamazione aggravata dalla matrice razziale. Kyenge non si era costituita parte civile.

Nonostante tutto, si precisa però che la pena è sospesa e non è stata ordinata la menzione del ministro nel casellario giudiziario. Inoltre, a dicembre il reato andrà in prescrizione.

Nel 2015 già ci fu un primo stop, con la difesa che aveva sostenuto la scriminante dell’articolo 68 della Costituzione, secondo il quale i membri del Parlamento, nell’esercizio delle loro funzioni, non possono essere chiamati a rispondere delle loro affermazioni. La Consulta aveva però dato ragione al tribunale e il processo era ripreso.

In primo grado nel gennaio 2019 Calderoli era stato condannato a un anno e sei mesi: i giudici avevano riconosciuto anche l’aggravante razziale. Nel processo d’appello la pena era stata ridotta, poi è arrivata la sentenza della Cassazione che ha fatto ripartire il processo da zero. Ora una nuova condanna, ma ormai la prescrizione è vicina.

Dimissioni vicine?

Dopo l’ultimo atto del processo che dovrebbe chiudere questa pagina politica durata quasi dieci anni, sorge una domanda: il ministro Calderoli dovrebbe dimettersi?

Sono tante le cause possono portare l’opinione pubblica e in primo luogo il Parlamento a chiedere le dimissioni di un Ministro ricorrendo alla sua sfiducia. Tra le più rilevanti spiccano: inchieste giudiziarie, scandali mediatici e possibili errori politici nella gestione dei ministeri

Da un punto di vista costituzionale, il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha poteri in tal materia e lo strumento della sfiducia non è mai (se non in un solo caso) riuscito nel suo intento; rimane perciò come unica opzione quella delle dimissioni del ministro, che molto spesso viene forzato a prendere tale decisione.

In altri paesi europei, il capo del governo ha quantomeno il potere di proporre la revoca di un ministro. Eventualità che forse andrebbe inserita nel nostro assetto costituzionale, quanto meno per colmare questa mancanza a cui la prassi ha già rimediato.

Una cosa è certa, qualsiasi persona che venga scelta per esercitare delle pubbliche funzioni e che abbia in quel periodo di tempo una condanna definitiva dovrebbe comprendere il peso del ruolo che ricopre e prendere una decisione che tuteli la carica e l’istituzione.

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