Autonomia differenziata, così si spacca l’Italia

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Non userò troppi giri di parole: l’autonomia differenziata è lo strumento inventato dalle regioni più ricche e predatorie, per tentare di tenersi quasi interamente l’importo delle tasse che spettano all’Italia intera.

Parliamo subito di soldi.

Secondo uno studio del Professor Giannola (Svimez) le Regioni che attueranno il federalismo differenziato si arricchiranno in questo modo, sulle spalle delle regioni più fragili: la Lombardia percepirà 106 miliardi in più, il Veneto 41 e l’Emilia 43, mentre si assisterà ad una diminuzione di pari importo delle risorse gestite direttamente dall’Amministrazione centrale.

Insomma, Giorgia Meloni è l’esatto opposto di Robin Hood: ruba ai poveri per dare ai ricchi. Così, dopo aver abolito il Reddito di Cittadinanza, scippando la dignità a tutti i poveri d’Italia, questa volta ha deciso di accanirsi contro i meridionali.

Dimenticandosi che, secondo l’Eurostat, il Sud risulta essere tra le aree più povere dell’Unione Europea: peggio c’è solo il Mayotte, un territorio francese in terra africana vicino al Madagascar. E dimenticandosi anche che, secondo un recentissimo report di Eurispes, la mancata applicazione della clausola del 34% tra il 2000 e il 2017 ha sottratto al Sud più di 840 miliardi di euro.
Si dirà, l’ho sentito riferire dal Ministro Calderoli: “che è la nostra Costituzione a riconoscere le autonomie locali”. Giusto, ma solo a seguito della capestra e recente riforma del Titolo V nel 2001.

Licenziata e sostenuta (anche) da quella trasversale corrente politica che, dopo il 28 febbraio del 2018, a soli 4 giorni dalle successive elezioni approvò tre accordi preliminari con il Veneto, la Lombardia e l’Emilia-Romagna, attraverso cui si gettarono le basi per richiedere l’autonomia differenziata. C’è da chiedersi come mai un Governo ‘scaduto’, che avrebbe dovuto occuparsi solo di ordinaria amministrazione, abbia approvato degli accordi di tale rilevanza. Ciò che fa paura è la trasversalità politica ma NON geografica con cui nasce l’autonomia.

La verità è che le spinte autonomiste nascono dai rigurgiti secessionisti degli anni ’90 e portano ad una pista che, secondo una inchiesta degli anni passati, vide coinvolto Licio Gelli, esponenti di Cosa Nostra, la Lega Nord e addirittura potenze estere. L’obiettivo del progetto dell’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, era di rendere autonomo il Nord e favorire la creazione di un’area a tassazione ridottissima nel Mezzogiorno, un’area offshore non più illegale e attrattrice di capitali stranieri, criminali e settentrionali. Una sorta di mega Zona Economica Speciale meridionale che poi, guarda caso, questo Governo ha finalmente attuato. Ma ora ha fretta di chiudere il cerchio e siggillare definitivamente questo provvedimento Spacca Italia.

Fateci caso, ogni provvedimento di questo Governo ha avuto come agnello sacrificale il povero oppure il meridionale. Basti vedere l’ultimo gioco delle 3 carte che l’Esecutivo sta effettuando con la programmazione FSC (destinata per l’80% al Sud) che verrà utilizzata per finanziare i progetti del Pnrr previsti per il Mezzogiorno.

Violentando il carattere dell’aggiuntività che avrebbe dovuto avere il Pnrr e violando il vincolo del 40% dei fondi che l’Italia avrebbe dovuto destinare al Meridione. Scelta dettata dal fatto che il Ministro Fitto è incapace di utilizzare la programmazione FSC, come dimostra l’ultimissimo documento del “Monitoraggio Politiche di Coesione”, secondo cui la percentuale dei pagamenti effettuati sul valore dei programmi FSC 2021-2027 è ferma all’1,66%. E cioè, l’avanzamento della dotazione è ferma a circa due centesimi delle risorse programmate.

E allora non c’è da stupirsi se questo Ministro non ha mosso un dito quando il Governo ha scippato al Sud 15,9 miliardi dal PNRR qualche mese, oppure quando in legge di bilancio è stato depauperato di diversi miliardi il Fondo di Solidarietà Comunale (destinato ai comuni fragili) o se, da ultimo, è stato sforbiciato di 4 miliardi il Fondo Perequativo Infrastrutturale.

Ebbene, con l’autonomia differenziata, il ragionamento che vogliono far passare è il seguente: “se alcune Regioni – sostengono – pagano più tasse rispetto a quanto ricevono in spesa pubblica, è giusto che trattengano almeno parte delle risorse versate al fisco in questi territori: è il concetto del residuo fiscale”.

Ma tutto ciò è incostituzionale perché nel nostro ordinamento giuridico a pagare le tasse non sono le regioni, bensì i cittadini, e lo fanno sulla base dell’ammontare del loro reddito, non del luogo di residenza. A questo punto, i meridionali dovrebbero richiedere anche la ‘regionalizzazione’ del debito pubblico italiano, facendolo ‘pagare’ in proporzione alla ricchezza prodotta da ciascuna regione e alla residenza dei possessori dei titoli di Stato.
Forse il ragionamento truffaldino si capisce meglio così: se la Lombardia, per tenersele, dichiara regionali le tasse statali pagate dagli italiani residenti nella regione, a questo punto il Comune di Milano potrebbe dichiarare comunali le tasse regionali pagate dai lombardi residenti in città, e tenersele. E gli abitanti del quartiere più ricco di Milano potrebbero dichiarare rionali le tasse pagate da chi vive nel quartiere, per impedire che siano spese per far arrivare un autobus o fare un asilo in un quartiere più povero. E così, gli inquilini del palazzo in cui vivono i più ricchi, pretendere di avere un “residuo fiscale” da recuperare.

Vi rendete conto che il giorno dopo dell’approvazione di questo testo verrà stuprata l’unità nazionale? La verità è che questo provvedimento meramente ordinamentale non pone un centesimo sul piatto, se non la promessa irrealistica di definire a stretto giro i LEP. Ma a chi volete prendere il giro? E’ irrealistico credere che si possano determinare i Livelli Essenziali delle Prestazioni in quatto e quattr’otto, atteso che – come più volte denunciato dalla Corte Costituzionale è dal 2001 (e cioè dalla riforma del Titolo V) che si attende la definizione dei Lep.

Il Piano è palese: aprire la porta all’autonomia differenziata, con la scusa “non vi preoccupate, vi promettiamo che finalmente definiremo i Lep”, salvo poi rendersi conto di non avere la liquidità necessaria e abbandonare il Sud al proprio destino!

Ovviamente, fin quando non verranno determinati i LEP non sarà possibile determinare i fabbisogni standard, alimentandosi quel meccanismo perverso della spesa storica e dunque dei servizi a “spesa zero”, come accade per gli asili nido al Sud o per il trasporto pubblico locale.

Col rischio costante che il fabbisogno di una determinata comunità sia zero e che i diritti siano zero.
Infine, davvero è incomprensibile il motivo per cui i trasferimenti dovrebbero essere ancorati ad indicatori di ricchezza, ovvero al gettito fiscale: calibrando i trasferimenti sul reddito, la regione “più ricca” (e che dunque contribuisce con un maggior gettito) sarebbe destinataria del ‘diritto a maggiori trasferimenti’ e dunque a più consistenti diritti rispetto alle regioni più povere: dall’istruzione alla protezione civile, e comunque in tutte le materie oggetto della richiesta di autonomia, potendosi mettere in dubbio il diritto all’uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

Innanzi a questo abominio giuridico, volto a legittimare un modello che esautora il Parlamento e rimette tutto alla trattativa privatistica fra Ministro per le autonomie e Presidenti delle Regioni, si sono alzati gli scudi di tutti gli ordini imprenditoriali e professionali, di Accademici, sindacalisti e centinaia di Costituzionalisti.

Inoltre, occorre considerare che l’articolo 174 del Trattato dell’Unione Europea stabilisce che è compito dell’Unione rimuovere i divari territoriali, sancendo che – e leggo testualmente – “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite.

Pertanto, se una legge nazionale anziché rimuovere i divari territoriali, li mantiene irrisolti e, anzi, li aggrava contravviene al Trattato europeo. Dunque, partendo dalle cornici normative di diritto costituzionale e comunitario, è lapalissiano ritenere che il quadro prospettato da Calderoli infranga la giurisprudenza europea, nonché la Carta costituzionale.

Il che è una vergogna, che va fermata a tutti i costi!

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