La moneta, questa sconosciuta. Prof. Vavalli: “Va ri-conosciuta”

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Intervista esclusiva a Vito Umberto Vavalli, un singolare economista d’impresa che coniuga i risultati originali dell’impegno nella ricerca con lo sviluppo sperimentale in campo sociale e umanistico.

Vito Umberto Vavalli, economista, già ricercatore CNR, direttore della tesoreria Eni, esperto di infrastrutture immateriali presso il CNEL, rappresentante italiano negli organismi tecnici internazionali che stabiliscono gli standard dei sistemi di pagamento, amministratore di banche e intermediari mobiliari e finanziari, docente in Master di II livello e corsi di alta specializzazione (Università di Roma Tre, Università di Pisa, CUOA, il Sole 24 Ore Formazione, Università Cattolica di Milano, SDA Bocconi), autore di oltre un centinaio di contributi tra saggi, articoli e interventi, noto per aver ‘inventato’ –  tra gli altri – il RID e il SEPA Direct Debit B2B, oggi manager dell’innovazione e imprenditore, componente dell’Uffico di Presidenza del Tavolo tecnico dell’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, aree interne e isole minori”.

Professor Vavalli, perché afferma che la moneta è uno strumento che richiederebbe di essere meglio conosciuto, anzi: ri-conosciuto?

“La usiamo tutti i giorni, anche più volte al giorno, ma raramente ci si chiede come nasce e come circola. Eppure, rappresenta un potente strumento di veicolazione di rapporti fondativi della società come la conosciamo, o meglio, come crediamo di conoscerla. Per entrare nel merito, giova fare un breve excursus. Nella moneta coesistono oramai da millenni tre fondamentali funzioni: regolamento degli scambi, misura del valore, riserva di valore. Prima di arrivare a questo assetto, lo scambio di beni e servizi, l’estinzione di debiti, le offerte per motivi religiosi e il pagamento di imposte e tasse avveniva con strumenti assai meno efficaci ed efficienti, come la cosidetta moneta-merce; tra gli esempi più ricorrenti nella nostra storia, le pecore (da cui pecunia) e il sale (etimo di salario). L’intensificarsi del commercio richiese soluzioni più pratiche. Per rimanere nell’area mediterranea, la storiografia prevalente dà per buono che la prima monetazione si ebbe ad opera di Creso, re della Lidia, nel VI secolo avanti Cristo e l’invenzione si diffuse abbastanza rapidamente. Nel III secolo a.C. la zecca di Roma fu costruita nei pressi del tempio di Giunone Moneta, edificato per commemorare il famoso episodio delle oche del Campidoglio – consacrate alla moglie di Giove – che svegliarono per tempo i romani, consentendo loro di respingere l’assalto dei Galli. La denominazione di ‘moneta’ si diffonde per tradizione popolare e trae origine dal fatto che la zecca, oltre a essere vicino al tempio, era stata posta pure sotto la protezione di Giunone Moneta, appellativo che sta per ‘avvisare’, ma anche ‘segnalare’. Ed in effetti la moneta diventa lo strumento elettivo per ‘indicare’ i valori in uso negli scambi, l’unità di misura corrispondente anche a quanto necessario in valuta corrente per regolare la transazione commerciale.” Poi aggiunge:

“Questa la narrazione più diffusa, che tuttavia non entra nel merito di questioni fondamentali, le quali affondano le radici nei rapporti sociali di debito-credito. Quando l’evoluzione delle aggregazioni umane diede luogo al passaggio dall’assetto tribale a quello comunitario, cambiano radicalmente le esigenze del vivere associato.  Ancora una volta, l’etimologia ci aiuta a tracciare il cammino percorso: il carattere saliente della comunità (da “cummunis”, cioè basata sul munus) prende le mosse dalla comprensione che sarebbe stato assai più utile collaborare che confliggere. Munus è un termine latino che raccoglie molti significati, alcuni apparentemente ambivalenti: ‘obbligo’, ‘impegno’, ‘dono non gratuito’. Infatti, non si abbraccia per intero la natura della poderosa innovazione sociale se non si completa, in un binomio inscindibile, con il termine “remuneratio”, da cui l’evidente origine del termine ‘remunerazione’; a ben vedere, si tratta del prolegomeno della partita doppia. Ecco allora emergere con chiarezza quale sia il nuovo patto sociale, che mette sì a disposizione dei componenti della collettività in quantità illimitata doni del fare e del dare, ma a cui corrispondono impegni comunitariamente riconosciuti. Ricevo qualcosa di cui ho bisogno o beneficio di una prestazione da parte di un membro della comunità (al di fuori della cerchia famigliare, dove prevalgono altri riti) e pertanto, secondo regole condivise, mi obbligo ipso facto ad estinguere il mio debito di riconoscenza con qualcosa di altrettanto utile per l’altro percipiente.

Se, come afferma M. Mauss (“Essai sur le don”, 1925), lo scambio nelle società arcaiche è un “fatto sociale totale”, allora la moneta, secondo F. Simiand (“La monnaie réalité sociale”, in Annales sociologiques, 1934), va vista come “realtà relativa”, da contestualizzare in ciascun sistema economico e socio-culturale.”

Per ragionare sulla natura della moneta lei torna addirittura alle origini della nostra civiltà …

“Le riflessioni sull’economia del dono si sono dimostrate antropologicamente ed economicamente rilevanti.  A mio modo di vedere, sono essenziali per comprendere le radici delle relazioni regolate dalla moneta. Sebbene coesistano forme di scambio su piani diversi nella stessa comunità, semplificando possiamo dire che ogni munus apre un credito di relazione. Instaura un rapporto tra due persone appartenenti alla medesima comunità̀. Impone, pena la perdita della relazione e della reputazione, di ricambiare in tempi congrui con un dono percepito di consistenza pari o superiore a quello ricevuto, anche a soggetto diverso ma indicato da chi ha originato il rapporto. La difficoltà di estinguere l’obbligo con un dono di valore esattamente pari a quello ricevuto favorisce la permanenza nel tempo della relazione, con scambi ripetuti e volti, tra l’altro, a non dare adito a giudizi critici da parte della comunità̀. Il dono di ritorno teso a chiudere il debito relazionale può̀ rappresentare la conclusione del rapporto, ma se basato su un plus di affetto, sentimenti di amicizia, stima per l’altro o partecipazione ad un progetto condiviso piuttosto che ad una organizzazione, pure la conferma dell’avvio di una serie di scambi reciproci e di supporto a meccanismi di coesione e di alleanza. Questo livello di coinvolgimento resta tuttora negli scambi rituali. Sin dalle società arcaiche presero ad intensificarsi scambi correnti per soddisfare esigenze materiali, strutturati in mercati che richiedevano di disporre di un metro ufficiale del valore e di un mezzo condiviso di pagamento di beni e servizi. Nei fatti, le esperienze monetali che imprimono la direzione poi affermatasi nei successivi millenni, originano dalla polis greca dell’Asia Minore, avvezze alle modalità di scambio dell’Oriente, in cui circolavano gocce o dischetti di metallo di peso predefinito. La coniazione monetaria presuppone pertanto un’organizzazione sociale politicamente strutturata, capace di svolgere il ruolo di garanzia rispetto a strumenti di regolamento dal valore riconosciuto, e dunque accettato.

L’invenzione della moneta, oltre a soddisfare esigenze tecnico-economiche, reca con sé la possibilità di sostituire l’impegno, talvolta fonte di obbligazioni ingrate, di pareggiare il conto dei munus ricevuti con uno strumento neutro, utile oltretutto – in luogo dell’inefficiente baratto – negli scambi intercomunitari.

Come la scrittura, la moneta è nei fatti un’invenzione sociale e possiede i caratteri tipici dei beni comuni che per svolgere le proprie funzioni deve essere in grado di incorporare elementi di fede pubblica. Partendo dalla genesi della fenomenologia originaria, sapremo meglio verificare che sia mantenuto saldo il valore sociale atto a garantire l’assolvimento dei compiti per i quali è stata concepita.”

Questa chiave di lettura non sembra rispecchiare le caratteristiche della moneta che utilizziamo oggi.

“Ha ragione. Infatti, la storia ci consegna eventi che tradiscono il senso autentico da cui nasce la moneta. Già con il conio e l’imposizione di un valore stabilito per legge, il sovrano avvia il percorso di privativa e poi di spoliazione, che prende il nome di signoraggio; oggi questo percorso si è perfezionato con la fiat money a debito. Nel periodo storico che precede l’istituzionalizzazione della moneta, sono ben noti usi di proto-monete che si aggiungono alla moneta-merce cui abbiamo fatto cenno. In verità, l’archeologia ha stabilito che le conchiglie cauri (nomi scientifici: Monetaria moneta e Monetaria annulus) sono state usate a profusione almeno dal 7000 a.C. in numerose parti del mondo, e talora lo sono ancora oggi presso alcune popolazioni africane. Fino a dopo il secondo conflitto mondiale sono esistiti veri e propri rapporti di cambio tra cauri e valute coloniali, come la sterlina o il franco francese.  A cosa serve citare queste evidenze storiche? Semplicemente a comprendere che la necessità di strumenti numerari di regolamento degli scambi è connaturata con il vivere associato, basato su scambi e specializzazioni, e che l’odierna moneta a corso forzoso è frutto dell’imbrigliamento di questa necessità in schemi giuridicamente e tecnologicamente strutturati. Nello schema è inserito anche il credito, quale prodotto immediatamente derivato dalle funzioni canoniche della moneta.”

In cosa si sostanzia quello che lei chiama imbrigliamento?

“Nel 1694 viene istituita la Bank of England, soggetto di diritto privato controllato da banchieri, titolare del monopolio di emissione di banconote con garanzia dello Stato, sia pure a determinate condizioni (fissate inizialmente, ma poi serenamente ignorate).  Si stabiliscono così i termini fondamentali per la successiva evoluzione del sistema monetario e creditizio basato sulla moneta-debito, vale a dire: una moneta fiduciaria che sposta il signoraggio dal sovrano ad un soggetto privato che può legalmente conteggiare ed esigere interessi dai prenditori su un debito creato per lo più dal nulla con sapienti artifizi contabili.

Da quel momento, si avvia il processo che renderà necessario ai popoli indebitarsi per accedere all’uso della moneta che, come abbiamo visto prima, è essenziale per garantire fluidità agli scambi e, con il credito, agli investimenti.

Il percorso si completerà nel 1971, allorché le riserve auree perderanno definitivamente la funzione di garanzia di convertibiltà persino tra le banche centrali. Da qui la locuzione fiat money, cioè a dire: moneta creata per il solo fatto di averlo stabilito (da parte delle banche, a loro piacimento, senza tener conto del bene comune).

Il moltiplicatore bancario, in virtù del quale a fronte di una ulteriore quantità di moneta immessa dalla banca centrale crescono un certo numero di volte i depositi e i prestiti, espande a dismisura questo meccanismo, i cui limiti di controllo quantitativo sono solo: la riserva frazionaria (la percentuale dei depositi da mantenere in cassa o presso la banca centrale) e le regole di contenimento dei prestiti basate su un multiplo del patrimonio di ciascuna banca commerciale.

Qual è allora oggi la sostanza della moneta? In sintesi, si può ragionevolmente affermare che l’emissione e la circolazione dei mezzi di pagamento a corso forzoso poggiano sull’incorporazione di fede pubblica, fiducia e speranza. Vediamo il perché di questa affermazione, apparentemente quasi esoterica.

Lasciamo in banca il nostro denaro perché è comodo, è sicuro, facilmente accessibile ed economico. Ma se non fossimo (pressoché …) certi che, quando ci servirà lo troveremo lì, non lo affideremmo alla sua custodia. Il motivo è dunque la fiducia che si traduce in mantenimento dei nostri saldi monetari sui conti correnti bancari e che rende conveniente regolare sui conti bancari le transazioni di cittadini e imprese.

Quando abbiamo necessità di un prestito lo chiediamo alla banca, nutrendo la ragionevole speranza di poterlo restituire, interessi inclusi. La banca ce lo concederà se anch’essa valuterà congruente questa speranza. L’operazione, laddove posta in essere, genererà nuova moneta.

La fiducia e la speranza sono sostanze che alimentano l’offerta di moneta; sono elementi che innervano le relazioni sociali ed economiche e che sono alla base della coesione della collettività.

Gestirle equivale ad orientare e spesso a determinare le scelte di cittadini e aziende, e dunque l’allocazione delle risorse.

Il governo di queste grandezze fuori da processi democratici, come di fatto è, rende del tutto anomalo l’assetto in cui ci troviamo e, fatalmente, subordina ai desiderata del sistema monetario e creditizio le istanze della società civile, senza che questo condizionamento sia frutto di una scelta consapevole. 

Da qui il motivo che mi porta a parlare di imbrigliamento, che non è certo un’espressione rasserenante. Indubbiamente, è sentita l’esigenza di garantire che i mercati possano contare su una moneta non soggetta ai mutevoli voleri della politica, talvolta meno attenta del necessario alle questioni tecniche. La storia ci dà evidenza di sconquassi imputabili ad eccessi di immissione di  mezzi di pagamento. Ma da qui a subordinare il perseguimento del bene comune ad una supposta stabilità di fattori che dovrebbero essere al servizio della società, consegnando strumenti come la sovranità monetaria e creditizia – fondamentali per esercitare compiutamente la politica economica – a soggetti di natura eminentemente privata, ce ne corre.”

Dunque si tratterebbe di un’anomalia …

“Esistono quattro principali scuole di pensiero economico (da Marx a Galbraith, passando per Keynes, Lavoie,  Wicksell, Graziani, Poulon, Cartelier e molti altri) che ritengono errato per il sistema produrre moneta a debito. È un non-senso. Senza entrare nel merito, eccessivamente specialistico, è difficile supporre che tutti questi economisti sbaglino. Ciononostante, la moneta a potere liberatorio vale a dire quella che per legge soddisfa il requisito di estinguere i debiti (commerciali, finanziari, fisco-previdenziali), è emessa esclusivamente a debito. Come accennato, se fosse lasciata esclusivamente nella mani della politica, darebbe luogo a tentazioni pressoché irresistibili.

In effetti, sarebbe tecnicamente possibile modulare la creazione di moneta in funzione delle esigenze produttive e di erogazione delle prestazioni necessarie a garantire i livelli ritenuti indispensabili per una vita dignitosa.  Ma occorrerebbe rivedere molti dei meccanismi attualmente operanti e, soprattutto, ci sarebbe bisogno di una cultura economica della popolazione mediamente assai più elevata di quella attualmente riscontrabile, per evitare che gli elettori confondano la moneta con gratuità senza corrispettivo, innescando spirali populistiche e demagogiche potenzialmente devastanti.

Dall’altra parte, se come asserito la moneta è un bene comune e oggi, definitivamente recisi i legami con il settore reale, viene creata nella quantità voluta a costi che sono una frazione del valore facciale, c’è da chiedersi quale sia il motivo per pagarci interessi. Indubbiamente, i costi di produzione e distribuzione vanno pareggiati, assieme agli oneri per la struttura di governo, incluse sorveglianza e vigilanza. Tuttavia, ìl cosiddetto ‘reddito da monetazione’ o signoraggio primario (banche centrali) e secondario (banche commerciali) sarebbe naturale che fosse redistribuito alla collettività. Cosa che però avviene solo in piccola parte.

Il tema è di fatto complesso e, a mio modo di vedere, l’anomalia di maggior peso è rappresentata dalla mancanza nelle agende della politica e nei consessi istituzionali di un dibattito che affronti con chiarezza gli argomenti qui solamente accennati.  D’altronde, è pur vero che l’insufficiente consapevolezza da parte dei cittadini in merito a quanto sia decisiva la questione per il loro benessere, oltreché per una società più equa e solidale, costituisce motivo per lasciare le cose come stanno; è molto più semplice.  Senonché, talune recenti esperiemze nel mondo delle valute virtuali complementari (da non confondere con le crypto currecncy) dischiudono orizzonti che prefigurano inedite soluzioni, in grado di generare un salto evolutivo di estremo interesse, sia sotto il profilo operativo sia sotto quello etico. Ma di questo potremo parlare in un’altra intervista, se utile.

Vorrei concludere con un brano tratto da “Lettera ai bambini”, una poesia di Gianni Rodari:

“È difficile fare

le cose difficili:

parlare al sordo

mostrare la rosa al cieco.

Bambini, imparate

a fare le cose difficili:

dare la mano al cieco,

cantare per il sordo,

liberare gli schiavi

che si credono liberi.”

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