Carne coltivata: ecco perché l’utilizzo futuro non è una certezza

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La carne del futuro è coltivata in laboratorio. In tanti, tra politici, produttori e consumatori, guardano con sospetto a questo nuovo tipo di alimento “sintetico”. Domani potremmo trovarlo nei nostri piatti, dunque è importante capire di cosa si tratta.

Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration (FDA) e la United States Department of Agriculture’s Food Safety and Inspection Service (USDA-FSIS) hanno approvato il consumo alimentare di carne coltivata in laboratorio. Per ora l’approvazione riguarda soltanto la carne di pollo, che sarà prodotta dalle due aziende autorizzate “GOOD Meat” e “UPSIDE Foods” e servita in ristoranti selezionati di Washington, D.C. e San Francisco.

di Andrea Cerasuolo e Carlo Conte

La carne sintetica non esiste

Partiamo da un errore terminologico: molti, oggi, parlano di carne sintetica, ma questa non esiste. I prodotti che definiamo sintetici, infatti, sono realizzati in maniera artificiale dall’uomo e non esistono in natura. La carne che un giorno arriverà nei nostri piatti, invece, non avrà nulla di artificiale e deriverà direttamente da cellule muscolari animali fatte crescere in laboratorio. In gergo tecnico, le cellule che crescono in laboratorio sono dette “coltivate”. Per questo motivo, dovremmo parlare, più appropriatamente, di carne coltivata o carne in vitro.

Carne sintetica: il processo in laboratorio

Ma come si fa a produrre carne animale in un laboratorio? In pratica, con procedure mini-invasive e indolori, dagli animali si prelevano piccoli pezzi di tessuto muscolare, da cui vengono separate le cellule staminali. Queste sono cellule indifferenziate, in grado di crescere e moltiplicarsi molto rapidamente in presenza di una adeguata miscela di nutrienti. Nonchè di trasformarsi in nuove cellule muscolari se sottoposte a stimoli specifici. La coltivazione delle cellule avviene all’interno di bioreattori, dove le fibre muscolari sono assemblate a costituirela carne da consumare. Il prodotto finale è garantito essere identico alla carne di allevamento dal punto di vista estetico e nutrizionale.

Step principali della produzione di carne coltivata (immagine adattata da Post et al., 2020, Science)

Carne da allevamento o da colture cellulari?

È forte lo scetticismo che aleggia intorno alla carne coltivata. C’è chi la ritiene inaccettabile per principio, chi ne ha paura e chi la reputa semplicemente l’ennesima operazione di marketing. Come accaduto per altre novità alimentari, secoli di cultura culinaria, tradizioni, gusto personale e timori verso le innovazioni tecnologiche sollevano un muro di diffidenza. In realtà, la carne coltivata porta con sé numerosi vantaggi, sia in termini di salvaguardia ambientale e animale che di sicurezza alimentare.

Basti pensare che il 70% dei terreni coltivabili è sfruttato per la produzione di mangime e foraggio per gli animali d’allevamento, e che il settore degli allevamenti intensivi è responsabile di circa il 15% delle emissioni globali di gas serra. Entro il 2050 è previsto un incremento della domanda di carne del 70% e, con questi ritmi, presto non avremo più risorse idriche e agricole per soddisfarla.

Ogni anno, nel mondo, muoiono 80 miliardi di animali per il nostro nutrimento. Il 99% di essi è allevato con pratiche intensive scarsamente etiche ed è considerato un mero prodotto industriale. Inoltre, negli allevamenti intensivi si fa spesso abuso di antibiotici per prevenire l’insorgenza di infezioni zoonotiche in grado di propagarsi rapidamente da un animale all’altro, fino all’uomo. L’effetto che si ottiene, però, è l’esatto opposto. L’impiego eccessivo e indiscriminato di antibiotici, infatti, rende i microbi resistenti agli stessi farmaci e ciò favorisce la diffusione di infezioni, come Salmonella e Listeria, potenzialmente fatali per gli animali e per i consumatori.

Alla luce di ciò, mangiare carne coltivata appare come una esigenza mondiale. Tuttavia, le difficoltà da affrontare per mettere in atto questa transizione alimentare non sono semplici.

Carne da laboratorio: sfide future

La coltivazione della carne in laboratorio è un processo tecnologicamente complesso, delicato e costoso. Scegliere le cellule più adatte da far crescere non è semplice, e le cifre per costruire bioreattori in grado di sostenere ritmi “industriali” di produzione della carne sarebbero oggi insostenibili. Secondo recenti stime, il costo minimo di produzione della carne coltivata sarebbe di 37 dollari per chilo, cosa che la renderebbe un alimento di lusso.

L’intero processo produttivo risulta molto costoso soprattutto dal punto di vista energetico. Con le attuali tecnologie, produrre carne coltivata richiede il 60% in più di energia rispetto all’allevamento tradizionale. L’abbattimento dei costi sarebbe possibile soltanto col passaggio a fonti energetiche rinnovabili.

Un’altra questione da affrontare è certamente convincere i consumatori della bontà della carne da laboratorio, sebbene essa appaia del tutto indistinguibile dalla carne tradizionale. Alcuni sondaggi hanno rilevato che le perplessità circa il consumo di carne coltivata sono più o meno grandi a seconda dei termini con cui la si definisce. Le attitudini sono più positive verso i termini “carne coltivata” e “carne pulita” o “green”, meno positive verso i termini “carne da laboratorio” o “artificiale”.

Ironicamente, nel mondo occidentale la carne coltivata potrebbe trovare largo consenso proprio tra i vegetariani. Per esempio, “UPSIDE Foods” ha stretto una partnership con la chef stellata Dominique Crenn, che prevede di vendere carne da laboratorio nel suo ristorante pescetariano.

Certo, sarà difficile riproporre le esatte proprietà organolettiche del prodotto, data la complessità della carne animale. E sarà altrettanto difficile riproporre le stesse caratteristiche nutrizionali delle carni che siamo abituati a mangiare.

In una bistecca non troviamo, infatti, solo proteine, ma anche una certa quantità di grassi, zuccheri (es. glicogeno), vitamine (es. B12), minerali (es. ferro), le cui concentrazioni dipendono dallo stile di vita che l’animale ha condotto. Questo mix di componenti, che conferisce un gusto specifico ad ogni tipo di taglio, pone non poche sfide tecnologiche.

Carne grass fed: un’alternativa all’alternativa

Ecco che allora, forse, prima di approdare alla carne coltivata, si potrebbe spingere i consumatori a comprare carne di animali allevati a pascolo. Animali che hanno brucato l’erba, che hanno mangiato ghiande, la cui carne è ricca di sani nutrienti, addirittura di omega-3, che in genere ricerchiamo nel pesce.

I governi dovrebbero dare agevolazioni alle aziende che allevano nel pieno rispetto di uno stile di vita sano, simile a quello selvatico, senza farmaci, con i giusti mangimi, i giusti spazi, le giuste ore di luce, i giusti tempi di accoppiamento. La carne, ma anche latte e formaggi, non potranno che essere salutari per l’essere umano, se provenienti da animali in salute.

Questo non costringerebbe a scelte alimentari radicali come il vegetarianesimo o il veganismo che, se pur con le miglior intenzioni, espongono al rischio di carenze nutrizionali. Ad esempio, la vitamina B12, è quasi del tutto assente nei vegetali, e il ferro “non eme” dei legumi è meno biodisponibile del ferro “eme” della carne.

Senza contare la possibilità di andare incontro a sarcopenia. Una epidemia sconosciuta, quella della perdita di muscolo nella terza età. Ci si concentra solo sulla osteoporosi, cioè la perdita di massa ossea, ma altrettanto pericolosa è la progressiva perdita di massa magra. Meno muscoli vuol dire meno forza, meno stabilità, meno equilibrio, minore autonomia, sicurezza e maggiore rischio di cadute.

Chi ha una buona massa magra sopravvive di più e meglio, a parità di malattia, anche grave, rispetto a chi ne ha poca. Introdurre la giusta quota di proteine, soprattutto superati i 60 anni, non è una scelta, è una necessità.

Indirizzarci ai bravi allevatori che abbiamo sul territorio non ci costringerebbe a trovare, come unica alternativa, una soluzione super tecnologica, che richiede anni di sviluppo e presenta delle grosse sfide tecniche, oltre a evidenti limiti in termini di micro-nutrienti e compliance.

D’altronde, in Italia sono molte le aziende che vendono carne “grass fed”. Mangiarne meno, ma di alta qualità.

Sitografia:

www.fda.gov

www.nature.com/articles/d41586-023-02095-6

Bibliografia:

Post, M.J., Levenberg, S., Kaplan, D.L. et al. Scientific, sustainability and regulatory challenges of cultured meat. Nat Food 1, 403–415 (2020). https://doi.org/10.1038/s43016-020-0112-z

Taylor J. Marcell, Review Article: Sarcopenia: Causes, Consequences, and Preventions, The Journals of Gerontology: Series A, Volume 58, Issue 10, October 2003, Pages M911–M916, https://doi.org/10.1093/gerona/58.10.M911

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