Assemblea Nazionale di Confindustria 2025: l’approfondimento
di Guido Tortorella Esposito
All’Assemblea Nazionale di Confindustria, mentre la Premier rimarca il dato positivo dello spread italiano, indicatore di un significativo miglioramento del grado di fiducia dei mercati verso il nostro Paese, confermato, anche dalle valutazioni delle agenzie di rating, il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini, presenta uno scenario del settore reale dell’economia italiana poco ottimista, chiedendo al governo un piano industriale straordinario che aiuti il nostro settore produttivo ad uscire dai tassi di crescita stagnanti in cui naviga oramai da diversi anni, toccando temi significativi come: il tema energetico, e, manco a dirlo, quello dei sussidi. Investimenti con gittata almeno triennale per rilanciare il settore della produzione, motore dell’economia.
Un confronto tra due Presidenti in occasione dell’assemblea nazionale di Confindustria
Orsini ricorda che nel 2024 siamo cresciuti dello 0,7% e che “secondo il nostro centro studi, l’economia italiana, anche in assenza di nuovi dazi, sarebbe cresciuta nel 2025 di uno 0,6%”, aggiungendo poi che “ora è esposta al rischio di un nuovo triplo shock: la caduta della domanda statunitense, la frenata della domanda globale, la possibile crisi finanziaria” che potrebbe spingere molte imprese a delocalizzare ulteriormente, “con ripercussioni su Pil, investimenti, occupazione e debito”.

Le parole di Orsini amplificano quanto abbiamo appreso dall’ultimo “Focus del mese” del citato Centro studi di Confindustria da cui emerge, tra le altre cose che, mentre l’Italia cresceva nel 2024 dello 0,7%, la Spagna sempre nel 2024 è cresciuta del 3,2%, quadruplicando la crescita italiana, in tutti i settori, grazie a diversi fattori, tra cui spiccano l’incremento degli investimenti stranieri e le politiche fiscali espansive. Ciò che sorprende nel citato Focus è che il solo settore industriale spagnolo si è espanso del 2,7% nel 2024, e che la crescita di quello dei servizi di quasi il 4%, non è trascinato, come si potrebbe pensare da quello del turismo, essendo risultati più rilevanti in termini di PIL i servizi professionali e quelli immobiliari, trascinati dall’edilizia.
Il Focus evidenzia, inoltre, quanto gli investimenti fatti in Spagna negli ultimi 10 anni nelle energie rinnovabili, tanto che l’eolico, l’idroelettrico e il solare, ad oggi rappresentano il 56% della produzione energetica spagnola, contro il 41% di quella italiana, abbiano di fatto inciso positivamente sui costi di produzione. Basti citare sul tema una recente dichiarazione di Jean-Philippe Imparato, responsabile per l’Europa di Stellantis, che intervistato sul tema ha dichiarato: “Per quanto riguarda l’energia fare una macchina in Spagna ci costa 516 euro, in Italia 1414 euro”. Non poca cosa.
Ricordando che le agenzie di rating, come Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch assegnarono rating troppo alti a strumenti finanziari derivati, come i Mortgage-Backed Securities (MBS) e gli Asset-Backed Securities (ABS), costituiti da prestiti subprime, favorendo lo scoppio della crisi del 2007; e considerato che lo spread migliora in funzione di fattori legati alle aspettative, che in quanto tali potrebbero non verificarsi, sulla stabilità economica di un Paese e sulla sua capacità di onorare i propri debiti, i riferimenti allo spread e alle buone valutazioni delle agenzie di rating rappresentano l’uso di un dato sicuramente corretto che, però, è condizionato da aspettative che dalle parole di Orsini, basate sulle recenti analisi del Centro studi di Confindustria, potrebbero non verificarsi. Vale a dire lo spread di oggi potrebbe aumentare domani, in assenza di politiche industriali che diano solidità ai nostri settori produttivi.