Il “teatrino” era già cominciato senza aspettare nemmeno la chiusura dei seggi. A farlo partire ci ha pensato Ignazio La Russa (“Da sinistra campagna d’odio, il campo largo oggi è definitivamente morto”), e poi giù a valanga i suoi colleghi di partito, ma i progressisti rivendicano un buon risultato nella chiamata alle urne. Tante le analisi che andrebbero fatte, più dal punto di vista sociale che politico in realtà.
Non si può non partire dall’affluenza: appena al 30,6%. Gli italiani non hanno capito, non hanno voluto capire? La verità è che i Referendum sono sempre stati poco partecipati, alcuni hanno sempre superato il quorum di pochissimo e spesso giocando sulla contrapposizione con la politica (come successe con Renzi). La stragrande maggioranza non ha quasi mai raggiunto il quorum, nemmeno andandoci vicina.
Referendum dal 1995 al 2025:
- 1995 – Affluenza tra il 57,2% e il 58,1% (12 quesiti, quorum raggiunto)
- 1997 – Affluenza tra il 30% e il 32% (7 quesiti, quorum non raggiunto)
- 2000 – Affluenza tra il 30% e il 32% (7 quesiti, quorum non raggiunto)
- 2003 – Referendum costituzionale sulla devolution (quorum non necessario per i referendum costituzionali)
- 2005 – Affluenza del 26% (4 quesiti sulla procreazione assistita, quorum non raggiunto)
- 2009 – Affluenza del 23% (3 quesiti sulla legge elettorale, la più bassa mai registrata fino ad allora)
- 2011 – Affluenza del 57% circa (4 quesiti su acqua pubblica e nucleare, quorum raggiunto)
- 2016 – Referendum costituzionale di Renzi (quorum non necessario per i referendum costituzionali)
- 2020 – Affluenza del 51,12% (referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, quorum non necessario)
- 2022 – Affluenza molto bassa (5 referendum sulla giustizia, quorum non raggiunto)
- 2025 – Affluenza del 30,58% (5 quesiti su lavoro e cittadinanza promossi dalla CGIL, quorum non raggiunto)
L’Italia è un Paese di anziani a cui non interessano i temi sociali
Il Referendum ha evidenziato due cose: la prima è che la bolla social ha creato l’illusione più che mai veritiera che Instagram, Tik Tok e Facebook non rappresentano la realtà. FanPage ha anticipato quello che tutti hanno pensato: foto di schede elettorali timbrate, selfie al seggio hanno generato grande traffico e tanti like ma a votare non c’è andato nessuno. Questa illusione ha condizionato fortemente percezione dell’affluenza rispetto a quella reale, ed è stato ovviamente l’ennesimo inganno, o meglio una conferma scontata.
La seconda, ancor più scontata se possibile, è che l’Italia si conferma un Paese anziano popolato da anziani. Lo dicono tutte le statistiche ma è confermato anche nei fatti: quando si tratta di temi sociali che riguardano la collettività non si alza un dito. Molto c’è anche di “strategico” in quest’astensionismo volto a far fallire il referendum impedendo che si arrivi al quorum del 50%, ma più probabilmente gli italiani hanno preferito il sole caldo di giugno ed il mare. Della serie: per andare a votare deve valerne la pena.
Con i nostri quasi 48 anni di età media ci confermiamo, in sostanza, troppo stanchi per pensare ad un futuro migliore. Chi ha pensato ai propri figli? Il dibattito che si potrebbe aprire a riguardo sarebbe interessante, c’è anche chi si è recato al seggio pur di votare per il “No”, soprattutto per il quinto quesito che riguardava la cittadinanza. Il pensiero potrebbe essere vario: c’è chi pensa che, magari, le ragioni del “No” sarebbero state più utili alle generazioni successive.
La rivendicazione politica da destra a sinistra: chi ci ha perso?
Se volessimo parlare in termini di misurazioni numeriche, ad esultare dovrebbe essere più la sinistra che la destra. A votare al Referendum sono andati in 14 milioni, più di quelli che nel 2022 votarono per la coalizione che avrebbe poi sostenuto Giorgia Meloni come Presidente del Consiglio. Se volessimo guardare, invece, semplicemente al risultato del referendum dovremmo dire che ha più motivo di gioire la destra a cui sono andati in soccorso Renzi e Calenda.
Ora, usare il Referendum come sondaggio elettorale è un esercizio rischioso. Vero è, che il 7 giugno per Gaza a Roma si è riversata una folla oceanica e sul palco c’era tutta la sinistra progressista unita. Se poi al referendum le indicazioni di voto date da Schlein e compagni prevalgono in maniera netta tra i 14 milioni di votanti, qualcosa certamente vorrà pur dire. Probabilmente è cambiata la percezione nel Paese? In larga parte lo dicono anche queste elezioni comunali che hanno visto la sinistra perdere solo a Matera di misura e vincere ovunque.
Ad ogni modo, la spettacolarizzazione del risultato referendario non fa bene al Paese che continua a confermare tassi di astensionismo da guinness dei primati. L’eccessiva contrapposizione ideologica non consente di portare alle urne la propria visione dell’Italia.
Primo quesito: licenziamenti illegittimi
Il primo quesito del Referendum 2025, contenuto nella scheda verde, chiedeva l’abrogazione del contratto a tutele crescenti introdotto con il Jobs Act nel 2015.
Il Sì avrebbe riportato in vigore l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con il reintegro obbligatorio per chi viene licenziato senza giusta causa. Il No, invece, avrebbe confermato l’indennizzo economico attualmente previsto.
Secondo quesito: indennità di licenziamento nelle piccole imprese
La scheda arancione proponeva l’eliminazione del tetto massimo di sei mensilità per i risarcimenti a favore dei lavoratori licenziati ingiustamente nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
Il Sì avrebbe permesso ai giudici di stabilire liberamente l’importo; il No avrebbe mantenuto il limite previsto dalla legge attuale.
Terzo quesito: contratti a termine
Il terzo quesito, scheda grigia, puntava a reintrodurre l’obbligo di causale per i contratti a termine inferiori a 12 mesi. Oggi le aziende possono stipulare contratti brevi senza motivazioni specifiche.
Il Sì avrebbe limitato questa possibilità, il No avrebbe confermato la normativa attuale.
Quarto quesito: sicurezza negli appalti
Il quesito contenuto nella scheda rossa mirava a estendere la responsabilità in caso di incidenti sul lavoro anche all’impresa committente, oltre che all’appaltatore.
Il Sì avrebbe rafforzato le tutele per i lavoratori negli appalti e subappalti; il No avrebbe lasciato intatte le responsabilità esistenti.
Quinto quesito: cittadinanza più veloce
L’unico quesito non legato al mondo del lavoro, inserito nella scheda gialla, proponeva di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo minimo di residenza in Italia richiesto ai cittadini extracomunitari per presentare domanda di cittadinanza.
Il Sì avrebbe facilitato l’accesso alla cittadinanza italiana; il No avrebbe mantenuto i requisiti attuali.