Referendum 2025 e quorum, lo storico conflitto tra capitale e lavoro

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Quorum e referendum, lo storico conflitto tra capitale e lavoro. Il mancato raggiungimento del quorum in occasione del recente referendum sul lavoro, volto a tutelare maggiormente i diritti dei lavoratori, riflette alcune dinamiche complesse che da sempre caratterizzano il rapporto tra lavoratori, datori di lavoro e apparato statale.

Cenni storici

Storicamente, le origini di questa conflittualità possono risalire alla Rivoluzione Industriale, quando l’introduzione di nuove tecnologie e l’espansione delle fabbriche portarono ad un rapido incremento dello sfruttamento dei lavoratori. Nel corso del XX secolo, diversi grandi Economisti hanno analizzato e interpretato questa dinamica di conflitto, tra cui: Karl Marx, secondo il quale il capitalismo tende a concentrarsi nelle mani di pochi, mentre la maggioranza dei lavoratori lotta per migliori condizioni e salari, portando inevitabilmente a scontri e tensioni sociali; John Maynard Keynes, che sottolineò l’importanza di un intervento statale per mitigare le tensioni tra capitale e lavoro: Keynes credeva che uno Stato attivo potesse stabilizzare l’economia, garantendo salari dignitosi e condizioni di lavoro più eque, riducendo così il rischio di conflitti sociali.

Alcuni dati sul lavoro dipendente in Italia

In Italia, secondo Istat, a gennaio 2025 il numero di lavoratori dipendenti – sia quelli a tempo indeterminato che quelli a termine – è di 16 milioni 447mila. Questa cifra rappresenta la maggior parte dei 24 milioni 222mila occupati complessivi, che comprendono anche i lavoratori autonomi.

A ciò si accosta il fenomeno dei “working poor” ovvero dei poveri nonostante il lavoro, che si estende sempre più. I nuovi poveri un lavoro ce l’hanno, ma non di qualità, e le categorie più fragili sono ovviamente le più colpite: donne, giovani e meridionali. Principalmente, le difficoltà di un lavoratore dipendente riguardano gli stipendi bassi, lo sfruttamento lavorativo, il peso dei prezzi sempre più alti di beni e servizi quotidiani e la precarietà del mercato del lavoro.

Secondo l’ultimo rapporto Istat, in Italia il tasso di disoccupazione è del 5,9%, con quello giovanile che aumenta al 19,2%. Ancora, si registra il 9,6% di lavoro part-time involontario ovvero di lavoratori costretti ad accettare un impiego a tempo parziale anche se desidererebbero lavorare a tempo pieno. Cercando, al contempo, di arrotondare con lavoretti vari e magari a nero, con rischi sulla salute e la sicurezza.

Alcuni dati sul lavoro autonomo in Italia

In Italia, secondo Istat, al 2024 il numero totale di aziende attive è di circa 5 milioni. Questo dato comprende tutte le dimensioni di aziende: grandi, medie e piccole. La maggioranza di queste risultano essere le microimprese (0-9 addetti) e le piccole e medie imprese (PMI, 10-249 addetti), per un totale di circa 4,9 milioni di aziende.

Tali imprese, dunque, costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana, pur affrontando molteplici sfide e difficoltà. Tra le principali vi sono la digitalizzazione, la crescita e la competitività rispetto alle grandi imprese, l’accesso ai finanziamenti, le competenze del personale e l’elevata pressione fiscale (l’International Tax Competitiveness Index (ITCI) dell’OCSE colloca l’Italia tra i paesi con i più alti costi di conformità fiscale). Infatti, secondo il Global Business Complexity Index (GBCI) 2024 di TMF Group, l’Italia risulta essere il terzo Paese europeo dove è più difficile fare impresa.

Inoltre, secondo Federsviluppo, nel 2024 l’Italia ha registrato un significativo aumento dei fallimenti tra le PMI, segnando un ritorno ai livelli pre-pandemia da Covid-19. Nel primo semestre del 2024, i fallimenti delle PMI sono aumentati del 58,8% rispetto allo stesso periodo del 2023. Anche per quanto riguarda le liquidazioni giudiziali, nel corso dell’anno 2024 ne sono state registrate 9.162, con un incremento del 19,7% rispetto al 2023. I settori più colpiti sono stati il Commercio, i Servizi, l’Edilizia e l’Industria, con Lombardia, Lazio e Campania quali Regioni con più liquidazioni giudiziali.

L’apparato statale, unico ponte tra lavoratori dipendenti e autonomi

In sintesi, tale situazione risulta essere molto complessa, all’interno della quale dovrebbe figurare lo Stato. Che, come mediatore imparziale, dovrebbe creare un ambiente normativo stabile e favorevole al dialogo, attraverso soluzioni condivise per la risoluzione del conflitto tra le due parti. Unico rimedio, l’introduzione di misure specifiche, quali: una seria riorganizzazione della contrattazione collettiva tra sindacati e datori di lavoro (in alternativa, un salario minimo legale per i lavoratori) e una sburocratizzazione e diminuzione di tasse per le imprese, oltre ad una maggiore possibilità di accesso al credito per le PMI.

Ci si sta muovendo lungo una strada socialmente, ma anche economicamente, pericolosa. In cui il divario tra ricchi e poveri sta aumentando a dismisura. Le conseguenze non sono inimmaginabili ed è necessario muoversi ora… finchè si è in tempo.

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