di Gabriele Cicerchia
Annunciato nel 2022 e lanciato ufficialmente con il Decreto-Legge n. 161/2023 (convertito nella Legge n. 2/2024), il Piano Mattei – che coinvolge attualmente 9 Paesi con l’obiettivo di arrivare a 14 entro fine anno – si propone di rafforzare le relazioni tra Italia e Paesi africani “al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari”.
Un obiettivo ambizioso, in linea con la crescente centralità dell’Africa nello scacchiere geopolitico globale e con la volontà dichiarata di superare vecchie logiche di assistenzialismo e dominazione.
I contenuti del Piano e le aree d’intervento
Il Piano si basa su un modello di partenariato multilivello che coinvolge istituzioni, imprese e società civile, puntando a valorizzare il ruolo dell’Italia come ponte tra Europa e Africa.
L’azione si estende a sei aree prioritarie: energia, agricoltura, acqua, salute, formazione e infrastrutture, con una dotazione finanziaria di 5,5 miliardi di euro (di cui, ad oggi, solo600milionirisultanorealmenteimpiegati, in parte a fondo perduto, in parte come prestiti agevolati), suddivisi tra il Fondo per la cooperazione (2,5 mld – MAECI) e il Fondo italiano per il clima (3 mld – MASE).
Nella narrazione governativa, il Piano Mattei si presenta come un’alternativa al neocolonialismo, una strategia “non predatoria” che mira a costruire relazioni paritarie e durature. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, lo ha definito “il volto nuovo dell’Italia nel Mediterraneo e in Africa”, sottolineandone il potenziale trasformativo.
Tuttavia, a giudizio di alcuni, appare improbabile che la crescita economica generata dai progetti previsti dal Piano Mattei (21, in totale), almeno nel breve e medio periodo, sia sufficiente a colmare l’ampio divario di reddito pro-capite tra l’Italia e i Paesi africani coinvolti, anche perché seppur fossero impiegati tutti i 5,5 miliardi stanziati, questi coprirebbero solo lo 0,5 del PIL dei 9 Paesi. Il divario economico resterebbe comunque ampio e per ridurlo non basterebbero decenni.
Appaiono scarse, quindi, le possibilità che questa iniziativa, seppur lodevole nei suoi intenti, possa deflazionare l’incessante spinta migratoria dal Continente nero e contrastare le migrazioni irregolari.
Lo stato dell’arte del Piano
Ad oltre un anno dal suo avvio, i fatti non sembrano tenere il passo con la retorica.
La Relazione presentata al Parlamento nel giugno 2024 ha illustrato alcuni sviluppi iniziali: tavoli interministeriali attivati, canali diplomatici aperti con Paesi considerati prioritari (Tunisia, Mozambico, Egitto, Repubblica Democratica del Congo) e l’avvio di un progetto pilota su energie rinnovabili, formazione professionale e sicurezza alimentare. Ma il Piano, nella sua attuazione concreta, appare ancora privo di una struttura solida. Manca una vera governance operativa – la Cabina di regia costituita a Palazzo Chigi, presieduta da Giorgia Meloni, non ha ancora prodotto documenti pubblici significativi – e non risultano noti né i meccanismi di monitoraggio né i criteri di selezione dei progetti.
Il coinvolgimento del settore privato e della società civile, pur evocato a gran voce come perno del modello multilivello, è rimasto a livello dichiarativo.
Inoltre, la sinergia con le strategie dell’Unione Europea e con le iniziative multilaterali (come il Global Gateway) appaiono più teoriche che effettive.
In questo vuoto di coordinamento, cresce il rischio che il Piano si trasformi in una cornice propagandistica, utile a rafforzare il profilo internazionale del Governo, ma incapace di produrre un impatto reale nei contesti africani.
Gli scenari geopolitici e il ruolo dell’Italia
Nel frattempo, lo scenario geopolitico si fa sempre più competitivo. Russia, Cina, Turchia ed Emirati Arabi Uniti sono già fortemente presenti nel continente con investimenti massicci, presidi infrastrutturali e cooperazione militare.
In questo contesto, l’Italia rischia di arrivare tardi e impreparata, con un progetto ancora in fase sperimentale, incapace di incidere davvero nei processi in atto.
Il Piano Mattei, dunque, si muove in bilico tra ambizione strategica e attuazione incerta. Se vuole davvero rappresentare una svolta nelle relazioni italo-africane, è necessario un salto di qualità in termini di pianificazione, trasparenza e capacità esecutiva. La sfida non è solo quella di investire risorse, ma di costruire fiducia, strutture di governance efficaci e una cooperazione che sia realmente trasformativa.
In definitiva, il Piano Mattei ha le potenzialità per diventare uno strumento geopolitico rilevante, ma la sua riuscita dipenderà dalla volontà politica di trasformare un manifesto d’intenti in una politica estera strutturata, credibile e all’altezza delle sfide globali.