di Daniela Mone
Il 17 marzo 2025 è stata pubblicata la legge toscana n. 16, intitolata “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024”. È la legge in materia di suicidio medicalmente assistito.
La sua approvazione ha diviso l’opinione pubblica non solo fra chi è favorevole o contrario al suicidio medicalmente assistito, per ragioni etiche, ma anche fra chi è favorevole all’istituto purché sia regolato da legge statale, chi lo è anche se regolato da legge regionale, chi lo è se regolato da legge regionale purché lo Stato intervenga quanto prima. Certo, questa potrebbe essere la posizione migliore.
Ma se poi lo Stato non interviene?
Se la sua latitanza che risale al 2018 persiste e la legge toscana, che il 9 maggio, il Governo ha deciso di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale, non dovesse essere annullata, cosa potrebbe accadere? Evidentemente pullulerebbero altre leggi regionali e il Parlamento si deresponsabilizzerebbe totalmente rispetto a una questione in fondo disciplinata. Quali le conseguenze?
La potenziale differenziazione della prestazione del suicidio assistito sul territorio nazionale
Sebbene la legge toscana si premuri, nel titolo, di circoscrivere il suo intervento alle modalità organizzative attuative di sentenze della Corte, sulla presunzione che queste ultime siano autoapplicative, così non sembra. Da un lato, le sentenze non sono autoapplicative, anche considerato che altrimenti non avrebbe senso la sollecitazione della stessa Corte di un intervento del Legislatore statale (ma non delle Regioni), a partire dall’ordinanza 207/2018, ribadendolo nelle sentenze 242/2019 e 135/2024. Dall’altro, la legge non interviene solo su modalità organizzative e, comunque, anche quando regola aspetti organizzativi, incide su diritti fondamentali, determinandone una tutela diseguale sul territorio nazionale. Ad esempio, all’art. 7, si prevede che le prestazioni e i trattamenti collegati al suicidio medicalmente assistito costituiscono un livello di assistenza sanitaria superiore rispetto ai livelli essenziali di assistenza, cui fa fronte la Regione con risorse proprie. In sostanza, in alcune Regioni si potrà accedere a prestazioni relative a diritti fondamentali, in altre no, con quanto ne consegue in termini di turismo sanitario. Altro che autonomia differenziata: si ampliano divari e disuguaglianze in campi delicatissimi che incidono sull’autodeterminazione della persona. Si potrebbe dire meglio spostarsi in Italia che all’estero per raggiungere tale risultato. Tuttavia, tradotto in termini giuridici, così non è: una prestazione attinente a diritti fondamentali deve essere garantita su tutto il territorio nazionale rispetto al suo livello essenziale: e il suicidio assistito non può che rientrare nella categoria delle prestazioni essenziali. Ma ci si chiede se, a fronte di tali effetti, che, come detto, possono culminare nella deresponsabilizzazione definitiva del Parlamento rispetto all’approvazione di una legge statale -questa sì doverosa- la legge regionale risolve la situazione drammatica che vivono i malati e i loro cari, a causa del caos derivante dall’incertezza normativa in materia. Affatto!
Solo la legge statale può disciplinare compiutamente il suicidio medicalmente assistito
Ad esempio, all’art. 2, la legge toscana prevede che possono accedere alle procedure relative al suicidio medicalmente assistito le persone in possesso dei requisiti indicati dalle sentenze 242 e 135 della Corte. Tra questi, è previsto che la persona sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale. Quali sono questi trattamenti? Finora si sono avute diverse interpretazioni: lo sono i trattamenti che prevedono la dipendenza della vita da una macchina ma anche quelli che ne prevedono la dipendenza da un’assistenza costante di una persona. Ne possono essere individuati altri.
Chi deciderà?
Trattandosi di aspetti che vanno ben oltre la dimensione organizzativa del sistema sanitario di competenza regionale, toccando il diritto di autodeterminazione della persona, il diritto penale, non può farlo e, infatti, non lo fa la Regione. Non può che intervenire lo Stato, come la vicenda di Trieste, da ultimo, sembrerebbe confermare. Dunque, anche con una legge regionale in materia, l’incertezza resta. Ora rimaniamo in attesa della pronuncia della Corte ma soprattutto auspichiamo che il Parlamento, destinatario del monito del Giudice costituzionale, cogliendo nell’approvazione della legge regionale un’occasione di stimolo, non continui a sfuggire alle proprie responsabilità.
Essere contrari alle leggi regionali sul suicidio assistito, infatti, non equivale ad essere contrari ad esso ma a richiederne una regolamentazione chiara che renda tale prestazione disponibile a tutti, alle stesse condizioni, sull’intero territorio nazionale.
Nessuna demagogia. La stessa appartenenza politica deve recedere rispetto alla sofferenza delle persone e garantire soluzioni chiare e univoche.