Francesco Caracciolo e la luce ritrovata di Costantino Pasqualotto

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Ci sono libri che non si limitano a raccontare: riaccendono la memoria del mondo.

Il volume “Costantino Pasqualotto (1681–1755). Pittore vicentino del Settecento” del Prof. Francesco Caracciolo – storico dell’arte, docente e membro della XVII Commissione Arte – appartiene a questa rara categoria. Pubblicato da Vivi Edizioni nel 2025, è un atto di luce, un dialogo con il tempo, una restituzione poetica a un pittore che aveva affidato alla pittura il proprio respiro spirituale.

Costantino Pasqualotto fu un interprete silenzioso ma profondo del Settecento veneto. Nativo di Vicenza, crebbe artisticamente nell’eco dei grandi maestri del suo tempo – Tiepolo, Pittoni, Piazzetta – ma ne distillò una voce personale, più raccolta, più interiore.

Nelle sue tele, Maria non trionfa: contempla. I santi non dominano la scena: partecipano alla luce. Ogni pennellata è un atto di fede, ogni ombra una soglia fra umano e divino.

Il suo colore – tenue, vibrante, trasparente – sembra conoscere il segreto della rivelazione: mostra senza gridare, commuove senza imporsi.

Il libro di Caracciolo non è una semplice ricostruzione storico-artistica, ma un percorso di conoscenza e contemplazione. L’autore percorre archivi, confronti stilistici e documenti d’epoca, ma la sua prosa è attraversata da una tensione filosofica: quella di chi sa che l’arte non è solo materia o tecnica, ma memoria dell’anima.

Nelle sue pagine, Pasqualotto diventa specchio di un’epoca in cui la pittura era teologia visiva, un modo per pensare la luce e la misericordia attraverso il colore.

“Ogni pittore che amò il cielo,” scrive Caracciolo, “ha lasciato un frammento di sé nelle nuvole che dipinse. Pasqualotto vi ha lasciato la sua pace.”

È una frase che sintetizza l’intera essenza del volume: un inno alla sobrietà spirituale e alla bellezza che non invecchia, quella che si nasconde nei dettagli e nelle pieghe del tempo.

Con “Costantino Pasqualotto”, Francesco Caracciolo compie un gesto di riscatto e di gratitudine verso la storia.

Riscopre un artista dimenticato e, insieme a lui, l’idea che la cultura non sia mai solo un archivio, ma una responsabilità.

Vicenza ritrova così uno dei suoi figli più luminosi, e l’Italia un frammento autentico del proprio spirito barocco: quello che ancora oggi sa parlare di grazia, di silenzio e di luce.