di Gabriele Cicerchia
Mitigare i cambiamenti climatici è la sfida sistemica del nostro tempo: i rischi, nel breve come nel lungo periodo, minacciano la stabilità degli ecosistemi e la sicurezza delle comunità umane. In questo quadro, l’Europa ha fissato un obiettivo inequivocabile: neutralità climatica entro il 2050, con un taglio delle emissioni intermedie già nel 2030. Per passare da slogan a risultati serve un cambio di paradigma nel modo in cui produciamo, distribuiamo e usiamo l’energia. L’Italia, per geografia, risorse e struttura produttiva, può giocare un ruolo da apripista, sperimentando su scala nazionale i pilastri di un sistema energetico 100% rinnovabile.
I pilastri del sistema energetico rinnovabile
Il primo pilastro è l’elettrificazione. La letteratura scientifica converge: fotovoltaico ed eolico possono coprire fino a circa il 90% della produzione elettrica in scenari maturi, se integrati con infrastrutture adeguate di rete e di accumulo. Il nodo non è la sola potenza installata, ma la gestione dell’intermittenza. L’energia solare concentra i picchi nelle ore centrali del giorno e nelle stagioni luminose; il vento, soprattutto onshore, ha profili stagionali e giornalieri variabili; l’offshore aggiunge variabilità ma migliora la distribuzione annuale. Per evitare sprechi e garantire stabilità, la produzione va accoppiata con sistemi di stoccaggio e con un lato domanda capace di muoversi insieme alle rinnovabili.
Qui entra in gioco il secondo pilastro: Power-to-X, cioè la conversione dell’elettricità rinnovabile in altri vettori energetici. Le batterie elettrochimiche sono essenziali per il bilanciamento giornaliero, ma pesano in costi e impatti lungo il ciclo di vita. Convertire gli eccessi in calore (Power-to-Heat), idrogeno (Power-to-Gas) o combustibili sintetici (Power-to-Liquid) consente di accumulare energia su orizzonti più lunghi, decarbonizzando al contempo usi finali oggi difficili da elettrificare. L’idrogeno verde, prodotto via elettrolisi, diventa così un vettore di sistema: riduce il fabbisogno di stoccaggi elettrici, introduce flessibilità programmabile, alimenta processi industriali ad alta temperatura e, se necessario, viene trasformato in carburanti liquidi per trasporti pesanti, aviazione e navigazione.
Il terzo pilastro è l’efficienza. Ridurre i fabbisogni finali è la via più rapida per diminuire investimenti necessari e pressione sulle risorse. Nel parco edilizio, una strategia combinata di riqualificazione profonda, pompe di calore e teleriscaldamento a bassa temperatura nelle aree urbane porta tagli dei consumi fino a un terzo, con benefici strutturali sulla bolletta energetica nazionale. L’Italia ha oggi una rete di teleriscaldamento ancora limitata: espanderla, sfruttando calore di scarto e grandi pompe di calore centrali, permette di “spostare” energia rinnovabile dal tempo della produzione al tempo del bisogno, con serbatoi termici che fungono da accumulo a basso costo.
Il quarto pilastro è la flessibilità della domanda. Programmabilità non significa solo centrali che modulano l’offerta, ma carichi che seguono l’andamento delle rinnovabili: elettrodomestici intelligenti, sistemi di gestione negli edifici, processi industriali ripianificabili, ricarica smart dei veicoli elettrici e, ove utile, Vehicle-to-Grid. Anche spostare “solo” una quota tra il 6% e il 15% dei consumi elettrici verso le ore di maggiore produzione rinnovabile riduce il surplus critico e, con esso, la taglia di accumuli e backup necessari. È un investimento infrastrutturale che si ripaga riducendo capacità altrimenti immobilizzata.
Per capire come questi pilastri interagiscono, occorre guardare al sistema nel suo insieme. Un’analisi olistica — che integra elettrico, termico, trasporti e industria con risoluzione oraria — mostra come le scelte in un settore riverberino sugli altri. Utilizzando modelli consolidati di pianificazione (come EnergyPLAN) e strumenti di ottimizzazione (ad esempio il toolbox MaT4EnergyPLAN) è possibile esplorare scenari alternativi a parità di obiettivo: zero emissioni nette al 2050.
Il caso Italiano
Nel caso italiano emergono tre famiglie di soluzioni per i “settori difficili”.
Trasporti pesanti. Qui si confrontano tre vie: biocarburanti, elettrocarburanti sintetici e idrogeno in uso diretto con celle a combustibile. I biocarburanti hanno il vantaggio di utilizzare infrastrutture esistenti, ma urtano presto contro la limitata disponibilità sostenibile di biomassa. Gli e-fuel (come metanolo e DME) abbinano idrogeno verde a una fonte di carbonio e possono sostituire diesel e jet- fuel, ma sommano perdite di conversione. L’idrogeno in uso diretto (FCEV) è il più efficiente dal punto di vista energetico e riduce l’energia primaria complessiva di sistema, ma richiede una rete dedicata di produzione, stoccaggio e distribuzione, con costi iniziali superiori. In termini di sicurezza approvvigionamenti e uso del suolo, lo scenario “idrogeno diretto” è quello che meglio contiene la pressione sulla biomassa e il fabbisogno di accumuli elettrici.
Industria. Primo passo: efficienza e elettrificazione di spazi e processi a bassa temperatura con pompe di calore. Secondo: sostituzione dell’idrogeno “grigio” (da steam-reforming) con idrogeno verde nei settori chimici e metallurgici. Terzo: per il calore di processo ad alta temperatura, si aprono due strade, biocarburanti o e-fuel. La combinazione più robusta limita l’uso “diretto” della biomassa, riservandola dove non vi sono alternative tecniche, e impiega idrogeno ed elettrocarburanti negli usi più esigenti, sfruttando sinergie tra filiere per ottimizzare gli impianti.
Calore urbano. L’Italia può portare il teleriscaldamento verso quote molto più alte, specie nelle città capoluogo e nei distretti industriali, alimentandolo con pompe di calore centrali e calore di scarto. Nelle aree a bassa densità prevalgono pompe di calore individuali, sostituendo progressivamente caldaie a gas e apparecchi a biomassa. Così, si riduce sia la dipendenza da importazioni fossili sia la competizione per la biomassa con industria e trasporti.
Il dimensionamento ottimale
Sul piano del dimensionamento delle rinnovabili, un aspetto spesso controintuitivo riguarda il mix ottimale: sebbene il fotovoltaico sia oggi la tecnologia con il costo livellato più basso e un elevato numero di ore equivalenti in Italia, spingere eccessivamente sul solare senza adeguato eolico aumenta il surplus critico concentrato nelle stesse fasce orarie e stagionali, gonfiando il fabbisogno di batterie.
Una priorità relativa all’eolico — soprattutto dove il vento è migliore, compreso l’offshore — distribuisce la produzione lungo l’anno, riducendo le taglie di stoccaggio e, quindi, i costi complessivi. In parallelo, il sovradimensionamento mirato degli elettrolizzatori (rispetto al minimo necessario su base annua) consente di “assorbire” i picchi rinnovabili trasformandoli in idrogeno, che funge da magazzino stagionale e materia prima per e-fuel.
La biomassa, infine, è un vincolo fisico e politico. Gli scenari che si affidano prevalentemente a biocarburanti superano la disponibilità sostenibile nazionale, anche limitando fortemente il ricorso alla biomassa nel residenziale. Le catene Power-to-Liquid basate su idrogenazione della biomassa sono più gestibili, ma restano prossime al tetto. Solo negli scenari con forte penetrazione di idrogeno diretto nei trasporti pesanti il consumo di biomassa rientra stabilmente nella “fascia sicura”. Il messaggio è netto: la biomassa va trattata come risorsa scarsa e strategica, non come soluzione universale.
Le valutazioni economiche
Dal punto di vista economico, un confronto su base annuale tra scenari mostra trade-off chiari. L’uso diretto dell’idrogeno nei trasporti tende a costare di più nell’immediato, per via delle infrastrutture dedicate, ma riduce l’energia primaria, il fabbisogno di stoccaggio elettrico e la dipendenza dalla biomassa. Gli e-fuel hanno CAPEX distribuiti lungo la filiera (elettrolizzatori, cattura/fornitura di CO₂, sintesi), ma risultano più compatibili con infrastrutture esistenti e veicoli attuali. Gli investimenti in flessibilità lato domanda — smart charging diffuso, sistemi di gestione dei carichi, V2G dove sensato — si ripagano riducendo la capacità di batterie stazionarie e il valore atteso del surplus sprecato. In tutti gli esiti, efficienza ed elettrificazione di edifici e trasporto leggero restano le misure dal miglior rapporto costo-beneficio.
Cosa significa, in concreto, per la pianificazione italiana?
Primo: accelerare l’installazione di rinnovabili con un mix equilibrato fra fotovoltaico ed eolico, semplificando le autorizzazioni e valorizzando aree idonee a basso impatto. Secondo: pianificare l’espansione del teleriscaldamento urbano e dei grandi impianti Power-to-Heat, integrando reti elettriche e termiche.
Terzo: avviare una strategia nazionale sull’idrogeno che metta al centro usi “hard-to-abate”, con elettrolizzatori scalabili e hub industriali in cui la domanda sia concentrata.
Quarto: definire standard e incentivi per la flessibilità dei carichi, dai condizionatori domestici ai processi industriali programmabili, fino alla mobilità elettrica.
Quinto: trattare la biomassa come “oro verde” a disponibilità limitata, destinandola
prioritariamente dove non esistono alternative tecniche o dove genera co-benefici locali (gestione forestale, scarti agro-industriali).
Un aspetto metodologico cruciale è guardare al sistema come a un organismo.
La pianificazione “a silos” — prima il trasporto, poi il calore, poi l’elettricità — non funziona più: una decisione sui camion influenza gli elettrolizzatori; una scelta sul teleriscaldamento cambia il profilo di carico elettrico; l’allocazione della biomassa modifica le esigenze di e-fuel e viceversa. Strumenti di simulazione oraria e di ottimizzazione multi-obiettivo sono ormai maturi per fornire mappe decisionali trasparenti: ridurre i costi annuali e il surplus critico di elettricità, rispettando vincoli di sicurezza e sostenibilità, è un problema complesso ma affrontabile.
Le prospettive future
La conclusione è incoraggiante: un sistema energetico italiano a zero emissioni è tecnicamente ed economicamente realizzabile. Non è un percorso “senza attrito”: richiede investimenti coordinati, riforme regolatorie, filiere industriali nuove o da rilanciare, competenze e accettabilità sociale. Ma è un percorso che genera benefici diffusi: sicurezza degli approvvigionamenti, riduzione del deficit energetico, nuova manifattura verde, innovazione tecnologica e occupazione qualificata.
L’Europa ha tracciato la rotta 2050; l’Italia può percorrerla con un modello in cui elettrificazione, Power-to-X, reti termiche e flessibilità della domanda si rafforzano a vicenda. La chiave è la coerenza: meno “progetti vetrina”, più pianificazione integrata, più sinergie tra settori, più cura per i vincoli reali — a partire dalla biomassa — e per le opportunità che derivano da un uso intelligente dell’energia rinnovabile.
Un sistema energetico rinnovabile come scelta di politica industriale e sociale
In ultima analisi, l’adozione di un sistema 100% rinnovabile non è solo una risposta all’emergenza climatica: è una scelta di politica industriale e sociale. È l’occasione per ricostruire competitività su filiere digitali e verdi, per ridurre vulnerabilità geopolitiche e per restituire senso al patto tra cittadine e cittadini e le istituzioni, trasformando la transizione ecologica da costo a motore di sviluppo. Se sapremo coniugare tecnologia e governance, regole chiare e investimenti, l’Italia potrà dimostrare che neutralità climatica e benessere diffuso non sono obiettivi in conflitto, ma parti dello stesso futuro.




