Ddl sicurezza, l’ONU tuona: “contro i diritti umani e la democrazia”

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Ddl sicurezza, l’ONU tuona: “contro i diritti umani e la democrazia”. Gli esperti delle Nazioni Unite chiedono al governo italiano di ritirare il “Decreto Sicurezza”: troppe ambiguità, rischi di discriminazioni e violazioni del diritto internazionale. Intanto, imprese e giuristi e persino le Forze dell’ordine si preparano a contestazioni e battaglie legali.

di Gabriele Cicerchia

È bastata la firma sul Decreto Legge n. 48 del 2025 per accendere i riflettori delle Nazioni Unite sull’Italia. Il provvedimento, varato il 4 aprile scorso dal Governo, con la formula della decretazione d’urgenza, ha sollevato l’immediata reazione di cinque relatori speciali dell’ONU. Che lo hanno definito allarmante e potenzialmente in contrasto con gli obblighi internazionali del nostro Paese in materia di diritti umani. Il 14 aprile, attraverso un comunicato ufficiale, gli esperti indipendenti delle Nazioni Unite hanno chiesto al governo italiano di revocare il decreto Sicurezza, sottolineando come sia stato approvato in modo repentino, trasformando un disegno di legge in decreto d’urgenza senza il necessario dibattito parlamentare e pubblico. «Siamo allarmati dal modo in cui il Governo ha trasformato un disegno di legge in decreto legge e da come quest’ultimo sia stato frettolosamente approvato dal Consiglio dei Ministri, eludendo così il confronto democratico», si legge in una nota.

Gli esperti criticano la procedura accelerata, le definizioni ambigue (soprattutto sul terrorismo) e misure che rischiano di comprimere le libertà fondamentali. Le disposizioni contenute nel decreto, secondo i firmatari, rischiano di colpire in modo sproporzionato minoranze etniche, migranti e rifugiati, aprendo la strada a forme di discriminazione e repressione. Ma c’è di più: nel testo si intravedono possibili violazioni del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), in particolare per quanto riguarda la libertà personale, la privacy, il giusto processo e la tutela contro la detenzione arbitraria.

La denuncia arriva da cinque voci autorevoli dell’Organizzazione internazionale: Gina Romero (diritti di riunione e associazione), Ben Saul (diritti umani e lotta al terrorismo), Irene Khan (libertà di espressione), Mary Lawlor (difensori dei diritti umani) e Gehad Madi (diritti dei migranti). Già nel dicembre 2024, gli stessi esperti avevano messo in guardia il governo sui rischi legati alla versione originaria del disegno di legge, oggi trasformato in decreto. Il contesto che emerge è quello di un’Italia che, secondo l’ONU, rischia di allontanarsi dai principi fondamentali dello Stato di diritto. In gioco c’è la credibilità internazionale del Paese, ma anche la tutela concreta dei diritti di chi vive sul suo territorio.

Pur ridimensionato in seguito ai rilievi di costituzionalità sollevati dal Quirinale, il decreto ha conservato l’impianto voluto dalla maggioranza. Le misure simbolo del provvedimento includono: inasprimento delle pene per alcune fattispecie di reato, vedi il carcere fino a due anni per i blocchi stradali, il divieto di vendita e consumo della cannabis “light”, l’introduzione di un nuovo reato per le occupazioni abusive, l’aumento dei rimborsi per le spese legali delle forze dell’ordine sotto processo e la possibilità, per gli agenti dei servizi segreti, di infiltrarsi e persino dirigere organizzazioni mafiose o terroristiche. I primi segnali di opposizione concreta sono già arrivati.

Le imprese del settore della canapa hanno promosso un ricorso davanti alla Corte d’appello di Firenze, tramite le associazioni CSI (Canapa Sativa Italia) e ICI (Imprenditori Canapa Italia), contestando l’articolo 18 del decreto. Secondo i ricorrenti, il divieto imposto su importazione e commercio delle infiorescenze viola la direttiva europea 2015/1535 (“Single Market Transparency Directive”), che impone agli Stati membri di notificare alla Commissione europea qualsiasi norma tecnica che possa ostacolare il mercato unico. Una mancanza di comunicazione che, se confermata, aprirebbe la strada alla disapplicazione del decreto per violazione del diritto comunitario. E le conseguenze economiche potrebbero essere drammatiche: oltre 30.000 lavoratori – tra fissi e stagionali – a rischio disoccupazione, più di 3.000 aziende che potrebbero chiudere o spostare la produzione all’estero.

In una intervista al Nuovo Quotidiano di Puglia, Pietro Colapietro, segretario generale della Silp Cgil (Sindacato Italiano Lavoratori Polizia), critica con forza il decreto sicurezza del governo definendolo inefficace e scollegato dalla realtà dei territori più fragili. Colapietro denuncia il paradosso di uno Stato che taglia risorse ai comuni e riduce la presenza istituzionale, proprio mentre le mafie si rafforzano, investendo nei territori abbandonati. Evidenzia la solitudine dei sindaci di frontiera, privi di strumenti per rispondere all’emergenza sociale e criminale. Lamenta altresì la chiusura di presidi giudiziari e la mancanza di personale nelle forze dell’ordine, in un contesto dove la criminalità organizzata approfitta della debolezza dello Stato. Sottolinea infine il rischio che i fondi del PNRR, se non gestiti con attenzione, accentuino le disuguaglianze territoriali, premiando chi è già strutturato.

A suo avviso, la vera sicurezza nasce da investimenti su scuola, lavoro, legalità e giustizia sociale, non da misure repressive: “servono volanti e investigatori. Nelle carceri la situazione è sempre più esplosiva”. La percezione è che questo tipo di risposta da parte del Governo sia un attacco alla marginalità e al disagio e sia distonica rispetto alle esigenze del nostro Paese. Critiche anche dall’Associazione nazionale magistrati che per mezzo del Presidente Parodi ha detto in audizione in commissione Affari Costituzionali che “certamente la situazione del Paese in generale, pur prendendo atto che esistono tensioni e contrasti, a molti di noi non era parsa così grave ed esasperata da poter giustificare un provvedimento d’urgenza di questo tipo. Il problema di costituzionalità si pone. Valuteremo questioni di costituzionalità di questo tipo se saranno sollevate da avvocati. Qui di tecnico c’è poco: il decreto contiene solo scelte politiche”.

Colpisce infatti il contenuto numerico del provvedimento: 14 fattispecie di reato che hanno determinato un oggettivo inasprimento del sistema sanzionatorio. Un aumento delle fattispecie di reato non in sintonia con l’emergenza del sovraffollamento nelle carceri. Ma il fronte legale non si ferma qui. Gli avvocati sono sul piede di guerra, pronti a sollevare eccezioni di legittimità costituzionale davanti ai giudici ordinari. La parola passerà inevitabilmente alla Corte costituzionale, che sarà chiamata a valutare se le nuove norme siano compatibili con i principi sanciti dalla nostra Carta fondamentale. Toccherà alla Consulta bilanciare sicurezza e diritti, ricordando che la democrazia si difende solo nel rispetto delle sue regole. In gioco non c’è solo l’efficacia delle misure adottate, ma la tenuta stessa dello Stato di diritto in Italia.

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