Convivenze e diritti: l’inarrestabile cammino verso l’equiparazione delle coppie di fatto

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di Pasquale Tarricone

La recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 1596/2025 del 23 aprile) rappresenta l’ultimo importante tassello nel progressivo cammino verso l’equiparazione tra coppie di fatto e coppie unite in matrimonio nel nostro ordinamento giuridico. Unitamente ad altre significative pronunce degli ultimi anni, questa ordinanza conferma una tendenza ormai consolidata nel riconoscimento di diritti e tutele alle relazioni familiari non matrimoniali, meritevole di un’analisi approfondita alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali.

Il caso recente: la ripetizione di elargizioni nella convivenza more uxorio

La vicenda giudiziaria esaminata dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 1596/2025 riguarda una richiesta di restituzione di circa 25.400 euro versati da un uomo alla propria compagna durante tre anni di convivenza. Questi contributi, che includevano il pagamento di rate del mutuo dell’appartamento di proprietà della donna e l’acquisto di mobili e un’automobile, sono stati considerati dalla Cassazione come adempimento di obbligazioni naturali, quindi non ripetibili.
La Suprema Corte, richiamando la propria giurisprudenza consolidata (sentenze n. 11303/2020 e n. 14732/2018), ha ribadito che le attribuzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio rappresentano esecuzione di doveri morali e sociali, purché rispettino i criteri di proporzionalità e adeguatezza rispetto alle condizioni economiche delle parti. In particolare, i versamenti effettuati per il sostentamento ordinario e per le spese abitative sono stati equiparati a quelli che potrebbero avvenire in un contesto matrimoniale, confermando l’orientamento che riconosce valore giuridico alla famiglia di fatto.

Il panorama giurisprudenziale recente: un quadro articolato

Questa pronuncia si inserisce in un contesto giurisprudenziale particolarmente ricco, come dimostrano altre importanti sentenze emesse negli ultimi anni. Un’analisi delle pronunce della Cassazione tra il 2021 e il 2025 evidenzia come la Suprema Corte abbia affrontato il tema dell’equiparazione su molteplici fronti, elaborando principi innovativi ma anche confermando alcune distinzioni rispetto al matrimonio.
Una delle sentenze più significative è sicuramente la n. 9216 dell’8 aprile 2025, con la quale la Prima Sezione Civile ha stabilito che il decreto ministeriale che prevede l’indicazione di “madre e padre” sul documento d’identità del minore figlio di una coppia omogenitoriale deve essere modificato, sostituendo tali diciture con la locuzione “genitore”. La sentenza rappresenta un importante passo avanti nel riconoscimento giuridico delle famiglie omogenitoriali, imponendo all’amministrazione di adeguare i documenti ufficiali alla realtà familiare del minore, con particolare attenzione ai casi di stepchild adoption.
In ambito di diritti patrimoniali, l’ordinanza n. 13739/2024 ha affermato un principio di notevole rilevanza in merito all’effetto della convivenza more uxorio sui diritti post-matrimoniali. La Corte ha stabilito che qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole, questi conserva il diritto all’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, se privo di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi. Tale pronuncia chiarisce che la nuova relazione di fatto non estingue automaticamente diritti patrimoniali derivanti dal precedente matrimonio, quando persiste la funzione compensativa dell’assegno divorzile.
Pur in una tendenza generale all’equiparazione, la Cassazione ha mantenuto alcune distinzioni, come evidenziato dalla sentenza n. 23527 del 2 agosto 2023. In questo caso, la Corte ha affermato che in caso di concepimento all’estero mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una coppia omoaffettiva femminile, non può essere accolta la domanda volta a ottenere un atto di nascita recante anche il nome del genitore intenzionale. La motivazione risiede nella scelta legislativa di limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, tra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere. In questi casi, il riconoscimento della doppia genitorialità può avvenire solo attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari.
Merita inoltre di essere menzionata, sebbene più risalente ma ancora pienamente applicata, la sentenza n. 7 del 2014, con la quale è stata riconosciuta al convivente non proprietario la legittimazione ad agire in reintegrazione ex art. 1168 cod. civ. per essere riammesso nell’abitazione familiare dopo uno spoglio violento. Tale pronuncia ha negato che in costanza di coabitazione e convivenza more uxorio si possa parlare di mera ospitalità o tolleranza nei confronti del partner non proprietario, riconoscendo così una tutela possessoria molto simile a quella garantita nel matrimonio.

L’intervento decisivo della Corte Costituzionale: la sentenza n. 148/2024

Un contributo fondamentale in questo processo di equiparazione è giunto dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 148 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 luglio 2024, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 230-bis, terzo comma, del Codice Civile, nella parte in cui non annovera il “convivente di fatto” tra i partecipanti all’impresa familiare.
La pronuncia è nata dal caso di una donna che, dopo aver convissuto e lavorato per circa otto anni nell’azienda agricola del partner deceduto, si è vista negare dai suoi eredi la liquidazione della quota di partecipazione all’impresa familiare. Dopo il rigetto della domanda nei primi due gradi di giudizio, la questione è stata sottoposta alla Consulta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La Corte Costituzionale ha accolto la questione con argomentazioni di grande portata sociale e giuridica, rilevando che “in una società notevolmente mutata, in seguito ai recenti sviluppi normativi e approdi giurisprudenziali, costituzionali, comuni ed europei, è stata riconosciuta piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto”. Pur riconoscendo che permangono alcune differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, la Consulta ha affermato con forza che “quando si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti, senza distinzioni di sorta”.

Il confronto con gli altri paesi occidentali

L’Italia si inserisce in un trend comune a molti paesi occidentali, dove l’equiparazione tra coppie sposate e conviventi procede a ritmi diversi ma con una direzione condivisa verso una crescente parificazione. Nei paesi scandinavi, pionieri in questo ambito, la parificazione è quasi completa da decenni. In Francia, il PACS (Pacte Civil de Solidarité) offre dal 1999 una cornice giuridica alle coppie non sposate, mentre in Spagna molte comunità autonome hanno adottato legislazioni avanzate sul tema.
Anche nei paesi anglosassoni si osserva un’evoluzione significativa. Nel Regno Unito, la giurisprudenza ha elaborato il concetto di “common law marriage”, mentre in Canada e Australia esistono forme di riconoscimento automatico dopo periodi determinati di convivenza.
Gli Stati Uniti presentano un quadro più frammentato, con situazioni che variano considerevolmente da stato a stato, ma con una tendenza generale all’ampliamento delle tutele, specialmente in ambito patrimoniale e previdenziale.

Verso l’inevitabile equiparazione dei diritti

Il percorso verso la piena equiparazione tra coppie sposate e conviventi appare ormai irreversibile, guidato da profondi cambiamenti sociali e culturali. I dati ISTAT mostrano che in Italia le convivenze sono aumentate del 45% nell’ultimo decennio, coinvolgendo non solo giovani coppie ma anche persone di tutte le età e condizioni sociali. Questa evoluzione demografica rende anacronistica la persistenza di un doppio binario di tutele.
Il quadro giurisprudenziale degli ultimi anni, come emerge dall’analisi delle sentenze della Cassazione tra il 2021 e il 2025, conferma che la tendenza all’equiparazione procede su più fronti: dalla tutela dei figli ai diritti patrimoniali, dalla protezione dell’abitazione familiare al riconoscimento del lavoro all’interno della famiglia.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2024 rappresenta un punto di svolta fondamentale, superando una delle più evidenti disparità di trattamento nell’ambito del diritto del lavoro. Per la prima volta, la Consulta ha riconosciuto esplicitamente che, quando sono in gioco diritti fondamentali come quello al lavoro e alla retribuzione, la distinzione tra famiglia matrimoniale e famiglia di fatto perde di significato giuridico.
Anche a livello europeo, la Corte di Strasburgo ha ripetutamente censurato le discriminazioni basate esclusivamente sullo stato civile, richiamando gli Stati membri a garantire un trattamento equo alle diverse forme familiari. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE all’art. 9 riconosce il diritto di sposarsi e costituire una famiglia senza vincolare tale diritto a particolari modelli.

Gli ostacoli residui all’equiparazione

Nonostante questa tendenza, permangono resistenze culturali e politiche all’equiparazione completa. Le differenze più significative riguardano ancora:
– Il diritto successorio, dove il convivente non gode dello status di erede legittimo e può ricevere beni solo per testamento, con limiti in presenza di eredi legittimari;
– La pensione di reversibilità, concessa al convivente solo in circostanze eccezionali e dopo pronunce della Corte Costituzionale;
Gli obblighi di mantenimento post-relazione, che per le coppie di fatto si limitano al periodo di convivenza senza proiettarsi nel futuro.
– La genitorialità intenzionale nelle coppie omosessuali, dove permangono limitazioni significative, come evidenziato dalla sentenza n. 23527/2023.

Tuttavia, alla luce della sentenza n. 148/2024 e del quadro complessivo della giurisprudenza recente, è lecito attendersi che queste differenze vengano progressivamente erose, soprattutto quando coinvolgono diritti fondamentali della persona. La Consulta ha infatti chiaramente stabilito un principio di portata generale: quando sono in gioco diritti fondamentali, le distinzioni basate sulla forma dell’unione non possono più essere considerate compatibili con il quadro costituzionale.

Le soluzioni emergenti dalla giurisprudenza

La recente giurisprudenza della Cassazione, come evidenziato dall’analisi delle sentenze tra il 2021 e il 2025, sta progressivamente colmando le lacune attraverso interpretazioni evolutive degli istituti tradizionali. La sentenza n. 1596/2025, applicando l’istituto dell’obbligazione naturale ai rapporti economici tra conviventi, riconosce implicitamente la dignità e il valore sociale della famiglia di fatto.
Questa interpretazione si allinea perfettamente con il ragionamento seguito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 148/2024, dove si afferma che il vincolo affettivo che caratterizza la convivenza more uxorio merita protezione giuridica al pari di quello matrimoniale, soprattutto quando questo vincolo si traduce in comportamenti concreti come la collaborazione nell’impresa familiare o, nel caso esaminato dalla Cassazione, il contributo economico alla vita comune.
La sentenza n. 9216/2025 sulle famiglie omogenitoriali e l’ordinanza n. 13739/2024 sui diritti patrimoniali post-matrimoniali confermano che la giurisprudenza è sempre più orientata a considerare la sostanza dei rapporti familiari piuttosto che la loro forma giuridica, bilanciando la tutela dei soggetti più vulnerabili con il rispetto dell’autonomia individuale nella scelta del modello familiare.

Il futuro del diritto di famiglia

La tendenza verso un diritto di famiglia fondato sulla sostanza delle relazioni piuttosto che sulla loro forma appare ormai consolidata e irreversibile. È prevedibile che nei prossimi anni assisteremo a ulteriori interventi legislativi e giurisprudenziali volti a completare l’equiparazione, lasciando al matrimonio un valore prevalentemente simbolico e religioso più che giuridico.
Le recenti pronunce della Cassazione analizzate e la sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2024 segnano un punto di non ritorno in questo percorso, stabilendo che quando si tratta di diritti fondamentali, la distinzione tra forme familiari diverse non può più giustificare disparità di trattamento. Questo principio, applicato inizialmente al contesto dell’impresa familiare e progressivamente esteso ad altri ambiti come i diritti genitoriali, la tutela possessoria dell’abitazione e i diritti patrimoniali, ha potenzialmente una portata molto più ampia, capace di influenzare l’intera evoluzione del diritto di famiglia italiano.
Alcuni giuristi propongono l’adozione di un sistema basato sulla registrazione delle convivenze, come avviene in Francia con il PACS, che consentirebbe di certificare l’inizio del rapporto e calibrare le tutele in base alla sua durata, superando le incertezze probatorie attuali.
Altri sostengono un approccio più radicale, con l’abolizione di ogni distinzione tra forme familiari e l’estensione automatica di tutti i diritti e doveri previsti per i coniugi anche ai conviventi stabili, salva la possibilità di optare per regimi particolari attraverso accordi espliciti.

Conclusioni e prospettive

L’analisi della giurisprudenza più recente della Cassazione (sentenze nn. 9216/2025, 13739/2024, 23527/2023 e l’ordinanza n. 1596/2025) e della Corte Costituzionale (sentenza n. 148/2024) evidenzia come il processo di equiparazione tra coppie di fatto e coppie coniugate stia avanzando in modo inarrestabile, seppur con alcune limitazioni in specifici ambiti come la genitorialità intenzionale nelle coppie omosessuali.
Questo processo non è monolitico ma articolato su più fronti: da un lato, si registra una sempre maggiore tutela dei diritti patrimoniali, possessori e lavorativi dei conviventi, dall’altro permangono differenze in ambito successorio, previdenziale e in alcuni aspetti della genitorialità. Tuttavia, la tendenza generale è chiaramente orientata verso una progressiva erosione delle distinzioni, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali della persona.
La sfida per il futuro sarà elaborare un diritto di famiglia che, superando le tradizionali categorizzazioni, si concentri sulla qualità e sulla sostanza delle relazioni interpersonali, tutelando in modo efficace le persone più vulnerabili indipendentemente dalla forma giuridica scelta per la propria unione.
Come ha affermato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 148/2024, in una società profondamente mutata, la piena dignità della famiglia composta da conviventi di fatto è ormai un dato acquisito. E quando sono in gioco diritti fondamentali, le distinzioni formali perdono significato di fronte alla sostanza dei rapporti umani e affettivi.

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