Burocrazia contro cultura: la Legge 1089 del 1939 è il vero vincolo da rimuovere

Nata sotto il fascismo per proteggere il patrimonio nazionale, oggi la legge 1089 è diventata una macchina inceppata che soffoca il mercato legale dell’arte e blocca chi vuole lavorare in modo trasparente. Altro che tutela: qui si punisce la professionalità.

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di Stefano Colucci

C’è una legge che resiste più dei ruderi romani, ed è ben più dannosa per il patrimonio: la 1089 del 1939, la cosiddetta legge “Bottai”, che disciplina la tutela dei beni culturali. Una legge scritta quando l’Italia era sotto regime fascista, quando i mercati erano chiusi, la mobilità delle opere inesistente e la cultura controllata dallo Stato come propaganda.

Oggi, in pieno 2025, quella legge continua a bloccare con la forza dell’inerzia case d’asta, antiquari, mercanti, archivi e collezionisti, trattandoli come potenziali delinquenti invece che come attori della valorizzazione.

Un sistema pensato per sospettare

Basta voler vendere un’opera d’arte con più di 70 anni per dover affrontare una giungla di richieste: notifiche, attese, controlli, soprintendenze che non rispondono per mesi, e quando lo fanno è per bloccare. E se chiedi un’autorizzazione per l’esportazione? Devi aspettare fino a 180 giorni. Nel frattempo il collezionista straniero ti saluta, e con lui migliaia di euro di possibile introito per lo Stato, che invece di incassare… frena.

Le case d’asta costrette a difendersi, non a vendere

Le più penalizzate sono le case d’asta italiane, che ogni giorno combattono contro norme vecchie, incerte, interpretate in modo arbitrario. Si arriva all’assurdo: opere identiche ricevono giudizi opposti da uffici diversi. E spesso, ciò che viene “vincolato” finisce dimenticato, non valorizzato. Ma guai a toccarlo: appartiene allo Stato, anche se lo Stato non fa nulla per proteggerlo davvero.

Il paradosso del collezionismo italiano

Chi colleziona in Italia deve affrontare non solo le tasse e l’IVA sui margini, ma anche la possibilità che un’opera venga notificata senza appello, rendendola invendibile all’estero e scoraggiando qualsiasi forma di investimento.

Il risultato? I collezionisti seri comprano all’estero. Le opere importanti scappano. E quelle che restano? Invecchiano nei magazzini delle sovrintendenze, nell’indifferenza generale.

Una riforma è urgente. E possibile

Non si tratta di cancellare la tutela. Si tratta di aggiornarla, di passare da una tutela ossessiva a una tutela intelligente, che dialoghi con il mercato anziché punirlo. Il patrimonio culturale ha bisogno di professionisti, non di eroi frustrati dalla burocrazia. E chi lavora onestamente merita regole certe, tempi rapidi, responsabilità istituzionali.

La Francia, la Svizzera, il Regno Unito hanno già trovato un equilibrio tra protezione e circolazione. Solo l’Italia resta ancorata a una legge ottuagenaria, mentre il mondo corre.

Se il patrimonio è di tutti, anche la libertà di valorizzarlo deve esserlo

Abbiamo bisogno di un nuovo codice. Di una riforma vera, condivisa con chi lavora sul campo. E di una politica culturale che non si limiti a proteggere le pietre, ma liberi le energie di un settore che può creare ricchezza, lavoro, identità.

Fino ad allora, la legge 1089/1939 resterà il vero vincolo da rimuovere.

La XVII Commissione Arte in prima linea: costruiamo insieme la riforma

La XVII Commissione Arte, operativa presso l’Intergruppo Parlamentare per lo Sviluppo del Sud, le Isole e le Aree Fragili, ha avviato i lavori per una proposta di legge che riveda e aggiorni l’intero impianto normativo sulla circolazione e tutela delle opere d’arte.

Stiamo raccogliendo osservazioni, proposte, esperienze dirette e criticità da parte di case d’asta, gallerie, operatori, restauratori e collezionisti, con l’obiettivo di portare una relazione tecnica dettagliata al Governo e al Ministro della Cultura nelle prossime settimane.

Invitiamo tutti gli operatori del settore a prendere contatto con la Commissione attraverso il sito ufficiale

www.commissionearte.com

Il momento per costruire una legge moderna, equa e condivisa è adesso.

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